19 aprile 2024
Aggiornato 22:30
Medicina

Tumori, scoperto l'interruttore che disattiva le cellule natural killer

Gli scienziati dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e del dipartimento di medicina sperimentale dell’Università degli studi di Genova hanno scoperto l’esistenza di un sistema che permette alle cellule tumorali di «ingannare» il sistema immunitario impedendogli di attaccarle e disattivando il meccanismo di difesa dell’organismo

ROMA – Esiste un meccanismo che rende le cellule cancerogene capaci di ‘ingannare’ il sistema immunitario. In questo modo, il sistema di difesa del nostro corpo non attacca le cellule maligne e le lascia libere di proliferare e distruggere l’organismo. Ecco quanto scoperto in uno studio condotto dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e del dipartimento di medicina sperimentale dell’Università degli studi di Genova, pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology.

Una reazione anomala
Il meccanismo di autoprotezione messo in atto dalle cellule tumorali si avvia quando queste vengono in contatto con le cellule natural killer (NK), indirizzate verso di esse quando vi sia necessità di proteggere l’organismo da agenti patogeni e cellule maligne. La disattivazione di questo fondamentale meccanismo di difesa rende le cellule tumorali libere di proliferare, duplicarsi e, di conseguenza, promuove la crescita del tumore.

  • Natural killer, sono le cellule atte alla difesa dell’organismo dagli attacchi da parte di agenti patogeni che infettano le cellule: per esempio virus e cellule tumorali. Quando si verifica un’aggressione, le natural killer attaccano e distruggono le cellule infette. Senza di esse e della loro importante azione saremmo soggetti a sviluppare infezioni letali in qualsiasi momento.

Un recettore in comune
Gli scienziati italiani hanno dimostrato che nei pazienti oncologici vi è un recettore in comune. Nello specifico, i pazienti affetti da tumore esprimo sulla superficie delle cellule malate un recettore inibitorio chiamato PD-1. Questo recettore è ritenuto un vero e proprio interruttore cellulare. Accade così che quando le cellule natural killer attaccano quelle tumorali per distruggerle, interviene il recettore PD-1. Il quale, agendo con le molecole presenti sulla superficie esterna delle cellule tumorali (PDL-1), riesce a disattivare le cellule natural killer, spegnendole letteralmente. In questo modo, viene meno l’azione di difesa dell’organismo – lasciando il via libera al tumore e alla sua diffusione.

Lo si conosceva già
Il recettore PD-1 non è una nuova conoscenza, ma lo si era già scoperto in precedenza sui linfociti T. Questi, al pari delle cellule natural killer, sono un altro meccanismo di difesa dell’organismo che gioca un importante ruolo nelle difese immunitarie e nella lotta alle cellule tumorali. Un po’ come accade per le natural killer, anche i tumori più aggressivi riescono a eludere l’attacco da parte dei linfociti T. I tumori sarebbero tuttavia ancora attaccabili dalle cellule natural killer, se non fosse che interviene il recettore PD-1 a rovinare tutto.

La speranza
Se il recettore PD-1 permette al tumore di proliferare, la speranza però è che agendo sul recettore, bloccandolo, è possibile inibire la sua azione e permettere alle natural killer di svolgere il loro ruolo di distruzione delle cellule tumorali. «Questo è stato dimostrato non solo in laboratorio ma anche in pazienti affetti da alcuni tumori molto frequenti, quali il melanoma e i tumori polmonari, grazie all’uso di un anticorpo monoclonale specifico per il recettore PD-1 – spiega Emanuela Marcenaro dell’Università degli studi di Genova – L’anticorpo, legandosi al PD-1, lo ‘maschera’, impedendogli di interagire con il PDL-1 e di generare segnali che inattivano le cellule killer. La novità del nostro studio – prosegue la ricercatrice – sta nell’aver dimostrato che l’interruttore PD-1 è presente anche sulle cellule NK di pazienti con tumore. E va sottolineato che le cellule NK svolgono un ruolo molto importante nelle difese contro i tumori». Lo studio è stato condotto grazie al supporto dell’AIRC su pazienti con carcinoma dell’ovaio, ma gli scienziati ritengono che i risultati possano essere potenzialmente sfruttati anche per i tumori pediatrici.