Psicologa: Gioco scaramantico, ne abbiamo bisogno
«Ci crediamo per sentirci nel gruppo e esorcizzare le paure»
ROMA - E' un gioco antico come l'uomo. Un momento per esorcizzare le nostre paure e sentirci parte di un gruppo, perchè la conversazione con i nostri simili è il vero balsamo che lenisce l'angoscia che abbiamo della solitudine. Quella del terremoto che oggi avrebbe dovuto colpire Roma è solo l'ultima bufala catastrofista alla quale abbiamo assistito, ma il meccanismo che l'ha generata e alimentata ha radici profonde nella psiche umana.
«Oggi abbiamo mezzi di comunicazione che moltiplicano la capacità di diffusione di queste bufale, che noi chiamiamo rumors, ma in realtà il fenomeno c'è sempre stato. Il processo di base è sempre affascinante: perchè si crede a cose evidentemente inverosimili?», dice a TM News Giovanna Leone, docente di Psicologia sociale nel Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell'Università 'La Sapienza' di Roma.
«La credulità va rapportata con diversi processi. Tra questi c'è il fatto che condividere argomenti è un modo come un altro di non essere fuori dai circuiti di conversazione. Dire di non crederci per niente è come non stare al gioco e farlo è un modo di essere in relazione: noi lo chiamiamo processo di 'influenza sociale'».
«Il secondo problema è perchè questo gioco comunicativo si innesca su argomenti paurosi, anche se le bufale bisogna distinguerle dal fenomeno del panico: qui siamo a una specie di disastro per gioco, è come vedere un film dell'orrore splatter, sappiamo che è tutto finto. Giochiamo con le nostre paure perchè - continua Leone - ci dà l'illusione che le possiamo controllare. Naturalmente quanto più una persona ha veramente il controllo delle sue emozioni, tanto più non ha bisogno di fare questi giochi».
Secondo la professoressa alle leggende metropolitane comunque «nessuno crede veramente, altrimenti si farebbe fronte realisticamente alla paura: è appunto una gioco, dove la cosa gradevole è che stiamo tutti provando la stessa emozione. Un contagio emotivo che cresce a maggiore forza quanto più tutti gli altri un po' lo credono. Ci sentiamo parte del gruppo e questo ci dà come un senso di esaltazione: il fatto che pensiamo che stiamo tutti provando la stessa emozione ha un aspetto malgrado tutto gradevole».
Altra variabile è quella del mezzo di comunicazione. Nei tempi di Internet, community, chat e social network hanno dato una risposta 'virtuale' al bisogno di non sentirsi soli, ma «quando siamo faccia a faccia lanciamo una serie di segnali, soprattutto non verbali, fuori dal nostro controllo volontario, che ci fanno capire che l'altra persona non fa veramente sul serio. Quando invece abbiamo un'informazione molto depotenziata, come nelle conversazioni on-line, tutti questi segnali non ci sono e c'è il rischio che questa specie di gioco sociale diventi più incontrollabile».
Insomma per Leone la storia del terremoto a Roma «è un esercizio scaramantico e la paura che si evoca è sempre la stessa: quella di non essere più nel gruppo e di non essere più padroni di se stessi».