Il critico del ponte Morandi lascia la commissione d'inchiesta: «Ecco perché»
L'ingegner Antonio Brencich si dimette dal ruolo che gli aveva assegnato il ministro Toninelli: «Colpa delle polemiche su un mio verbale», spiega al DiariodelWeb.it
ROMA – Ieri era ritenuto l'ingegnere più accorto, il critico inascoltato del ponte Morandi, quello che già due anni fa sollevò dei dubbi sul viadotto poi crollato. Tanto da essere stato chiamato dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli a far parte, come membro esperto, della commissione d'inchiesta che dovrà indagare sulle cause del disastro. Oggi, invece, il professor Antonio Brencich è stato costretto a rassegnare le proprie dimissioni dalla commissione, essendo finito al centro della bufera mediatica e politica.
Il verbale del 1° Febbraio
Tutta colpa di un articolo scritto dall'Espresso, a cui ha fatto seguito anche la procura di Genova, che svelava il verbale di una riunione avvenuta il 1° febbraio scorso tra ministero, Autostrade per l'Italia e provveditorato alle opere pubbliche. In quel documento i tecnici convocati rilasciavano il loro parere positivo sul progetto di ristrutturazione del ponte presentato da Autostrade, nonostante i dati che evidenziavano già la gravità del degrado. E, tra le firme di questi tecnici, c'era anche quella di Brencich (oltre a quella del collega Roberto Ferrazza, anche lui revocato dalla commissione d'inchiesta). Il motivo del passo indietro lo spiega lo stesso ingegnere ai microfoni del DiariodelWeb.it: «La motivazione delle mie dimissioni è quella che ho scritto nella lettera: la questione del verbale di febbraio non è stata solo oggetto di critica mediatica, ma su questo si è innestato anche un dibattito politico. Questo non fa bene alla serenità della commissione e quindi, siccome nessuno è indispensabile, era necessario fare un passo indietro».
Ma perché avevate fornito quel parere positivo, nonostante le criticità messe in luce dai numeri?
Quello era l'esame di un progetto: il comitato ha esaminato i dati forniti da Autostrade. Le indagini supplementari quantificarono il degrado in 8-16%, poi arrotondato al 20%. Questo numero di per sé non era trascurabile, ma nemmeno enorme: tutti i ponti hanno la capacità di sopportare un certo livello di degrado. Oltre a questo, nel progetto c'era anche la valutazione della sicurezza: Autostrade scrisse che avevano rifatto i conti e che c'erano ancora dei margini. Noi non avevamo modo di rifare gli esami sperimentali e neanche i calcoli, perché al progetto non potevamo neanche accedere, se lo teneva Autostrade. Noi abbiamo visto le indagini, le risposte ai dubbi, gli interventi che comunque non trascuravano il degrado, e abbiamo detto: fateli.
Quindi vi siete fidati dei dati della società Autostrade?
Non potevamo fare diversamente che operare sulle informazioni che ci venivano trasmesse: il comitato non aveva altre funzioni. Il parere, tra l'altro, non è di approvazione del progetto, che spettava al ministero, e non so come loro abbiano gestito le osservazioni mosse da noi. Non ho più avuto notizia del fatto che abbiano avuto o meno risposta.
Con il senno di poi, rivendica quella firma o la considera un errore?
I dati parlavano di anomalie, ma non tali da lasciar presupporre un pericolo. L'informazione era quella che ci era stata passata, peraltro dai colleghi di Milano, che sono di primissimo livello. Quelle anomalie andavano approfondite, ma se ci fossero stati timori andavano scritti. Questo fu il giudizio, non solo mio, ma di venticinque persone.
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