11 settembre 2024
Aggiornato 01:30
Olimpiadi Torino 2026

Debito, spreco di risorse pubbliche, impatto ambientale: le ragioni del no alle Olimpiadi 2026 a Torino

Il CoNO, Coordinamento No Olimpiadi Torino 2026, ha manifestato il proprio dissenso in Sala Rossa e in piazza Montale, per spiegare ai cittadini il no alla candidatura

TORINO - Torino vent'anni dopo. Nuovo giro, nuova corsa. Le Olimpiadi di Torino 2026 non sono più una favoletta che qualcuno in città racconta ad un pubblico pagante (a sua insaputa) e un po' troppo assopito, ma un'ipotesi che si fa materia. Cosa ne pensino i torinesi oggi difficile dirlo, perché nessuno glielo ha chiesto. La giunta Appendino procede spedita verso il tentativo di candidatura di Torino per i Giochi invernali del 2026, senza confronto, senza contraddittorio. Sicuramente è sotto gli occhi di tutti il profondo buco nero in cui è piombata la prima capitale d'Italia dopo il 2006. Debito alle stelle, gentrificazione selvaggia, sacche di povertà che si estendono rapidamente fino a sfiorare il «salotto buono», il centro, e portano con sé una devastazione alienante, sociale, culturale ed evidentemente economica senza precedenti per l'ex capitale industriale del Paese.

CoNO, in Sala Rossa e nelle periferie
Lontano dallo sfavillante centro-luna park che è diventato il quadrilatero torinese, a dire no c'è il CoNO, il Coordinamento No Olimpiadi, fatto di associazioni, comitati e movimenti contrari all’ipotesi di una candidatura di Torino ai Giochi Olimpici invernali 2026. Come nome hanno scelto un chiaro riferimento al Coni, come simbolo una Mole girata al contrario che diventa un cono gelato, le cui palline sono i cerchi olimpici che si sciolgono, inesorabilmente, come la neve. CoNO è stato presentato ufficialmente a Palazzo Civico qualche giorno fa, «per rendere visibile il dissenso che c’è tra i cittadini, perché finora questa è stata una scelta dei vertici M5s, con il via libera ufficiale di Grillo, che non solo non ha coinvolto la comunità torinese ma formalmente nemmeno la Sala Rossa». Ieri, il movimento ha voluto riempire anche metaforicamente la piazza che fu del M5s con un'assemblea pubblica per spiegare le ragioni del no: Officine Caos, piazza Montale, nel cuore delle Vallette, quartiere simbolo delle periferie degradate dove Chiara Appendino tenne il suo comizio finale prima della vittoria su Fassino. Qui, a soli tre chilometri da quel centro storico addobbato a festa e acceso H24, c'è una coppia di italiani di mezza età che vive in tenda. Sì, in tenda. A Torino, nel 2018.

Perché non possono essere Olimpiadi low cost?
«Diciamo no per via dell’impatto negativo dei Giochi del 2006», spiegano i promotori. «Non vogliamo che si ripeta questa strumentalizzazione dei Giochi olimpici, che sono stati letteralmente sequestrati dalla finanza, che dà sempre più risorse pubbliche all'apice della piramide sociale, mentre ne toglie alle povere persone». Il debito generato da Torino 2006 ha causato pesanti ripercussioni sulle finanze comunali e sui servizi ai cittadini, specialmente quelli più deboli. Senza dimenticare i danni all’ambiente. Sindaca e amici ci provano a rassicurare i cittadini, spiegando loro che sarà un'Olimpiade low cost, a limitato impatto ambientale, anche grazie al riutilizzo dei vecchi impianti: versione easy, insomma, come va di moda oggi. Ma come si fa a credergli? Gli impianti di allora sono fatiscenti, richiederebbero risorse enormi per la rimessa in funzione, oppure sono stati smantellati. Le Olimpiadi sono un grande evento – lontani ormai i tempi in cui il M5s torinese raccoglieva consensi grazie alla filosofia degli eventi piccoli e capillari – e come tutti i grandi eventi non esisterebbero senza un coinvolgimento del pubblico: tradotto, significa uno sperpero di risorse, nostre. Senza contare poi le inflitrazioni mafiose: la criminalità organizzata vive sempre più di appalti, e quale bacino più ricco di un grande evento pieno zeppo di cantieri da mettere su?

Come il Tav
Torino 2026 è assimilabile alla costruzione di una grande opera come il Tav Torino-Lione, in cui "sono più gli interessi e i benefici di tipo economico che ne derivano a coloro i quali ne gestiscono la realizzazione che non il valore dal punto di vista sportivo». Come ha sottolineato Nicoletta Dosio, attivista e volto storico del movimento No Tav, «bisogna chiudere le Olimpiadi prima di aprirle. La lotta No Tav ha dimostrato che prevenire è meglio che curare, perché una volta aperte queste ferite non si chiudono più. I grandi mali-eventi partono dalla devastazione dei territori, del denaro pubblico, e da una devastazione culturale».

Le ripercussioni sulle casse pubbliche
È bene ricordare le pesanti ripercussioni sulle finanze comunali e sui servizi ai cittadini torinesi dei Giochi invernali del 2006, nonché "i danni all'ambiente e al territorio urbano ed extraurbano" spiega il CoNO. Solo per presentare la candidatura allora erano stati spesi 17 miliardi di vecchie lire. Ci sono contratti stipulati tra il 2002 e il 2007 che vincolano ancora oggi la città con debiti fino al 2040, debiti che hanno già drenato più di 70 milioni dalle casse del Comune. Lo scorso anno sono costati 15 milioni, quest'anno le previsioni di bilancio parlano di 16 milioni spesi solo per i derivati, cioè solo per pagare gli interessi.

O il doppio o il quadruplo di allora
Un grande evento a impazzo limitato, per non dire zero, è pura utopia. I preventivi che hanno iniziato a girare in alcuni ambienti ufficiali su Torino 2026 variano tra 1 e 2 miliardi di euro. Il preventivo di spesa di Torino 2006 fu invece pari a 550 milioni. Nell’ipotesi migliore oggi si prevede già di spendere o il doppio o il quadruplo rispetto a 12 anni fa. Il conto verrà pagato attraverso un finanziamento del governo al Coni, risorse pubbliche che verranno assegnate con procedure di emergenza assimilabili, nell’ordinamento amministrativo, solo agli appalti della Protezione civile in caso di calamità. «Procedure – spiegano gli organizzatori dell'assemblea – che non garantiscono nulla se non una spartizione rapida dei soldi, con normative non trasparenti sulle gare d’appalto».

"Vogliamo parlare con Malagò"
«Questo è solo il primo passo: andremo avanti perché Torino non giunga mai alla candidatura olimpica. Vogliamo imporre alla città un dibattito politico sui Giochi. Mentre si sta compiendo il secondo anno di mandato della Appendino è sempre più evidente che un’alternativa politica non c’è e che questa deve essere costruita dalle persone». Il CoNo non si fermerà: «Vogliamo interloquire con il Coni, con Malagò, a cui spiegheremo le ragioni scientifiche della nostra opposizione. Chiederemo di essere ricevuti. Manifesteremo pubblicamente a Torino, ovunque tranne che in centro, in Val Chisone e in Val Susa, il vasto dissenso che soggiace a questa surreale scelta politica della Appendino. Che, peraltro, scopriamo essere in fase di "valutazione", almeno ancora ufficialmente: vola a Roma con il valente assistente 'Pasquarettola', per perorare la candidatura torinese. Surrealismo, dadaismo, situazionismo tutto insieme».