28 marzo 2024
Aggiornato 13:00
Centrosinistra

Grasso: «Devo 80mila euro al Pd? Ritorsione infamante»

Lo scrive il Presidente del Senato, in una lettera su «Repubblica» in cui replica alla «lettera infamante» di Bonifazi sulla questione dei contributi arretrati

Matteo Renzi con il Presidente del Senato e leader di «Liberi e Uguali», Pietro Grasso
Matteo Renzi con il Presidente del Senato e leader di «Liberi e Uguali», Pietro Grasso Foto: ANSA

ROMA - «Non sembra opportuno che il presidente del Senato sostenga con soldi pubblici l'attività di un partito, così come per prassi centenaria non è chiamato a dare col voto alcun contributo politico. Ecco perché ero convinto che non aver ricevuto richieste di contributi dipendesse da una visione condivisa di questo modello». Lo scrive Pietro Grasso, in una lettera pubblicata su «Repubblica» in cui replica alla «lettera infamante» di Francesco Bonifazi sulla questione dei contributi arretrati (oltre 80mila euro) richiesti dal tesoriere del Pd al presidente del Senato, per quasi tutta la legislatura iscritto proprio al gruppo Dem.

Grasso ricorda le «56 mensilità» trascorse nella legislatura, senza aver ricevuto alcuna comunicazione dal tesoriere Pd,. E dunque «immagino che non sia stata casuale la scelta del 3 dicembre 2017 per darne notizia, giorno nel quale ho pubblicamente aderito a Liberi e Uguali. Il suo modo di agire appare dunque un atto di ritorsione a carattere propagandistico piuttosto che una sincera volontà di fare chiarezza». Peraltro attraverso i giornali, «un colorito quanto basso espediente da campagna elettorale». E ribatte: «Vorrei capire cosa ne pensa dei circa 250 mila euro che il Gruppo del Pd in Senato ha percepito dal marzo del 2013 al 26 ottobre del 2017 in ragione della mia iscrizione al Gruppo medesimo».

Infine il leader di Leu scrive a Bonifazi: «Lasci fuori da questa orrenda strumentalizzazione i dipendenti del Pd. Sono in cassa integrazione in virtù di una gestione economica e finanziaria disastrosa e di un indebitamento milionario causato, in primis, dalla fallimentare campagna referendaria: a loro, così come ai giornalisti dell'Unità, di Europa e alle loro famiglie, va tutta la mia solidarietà».

Quanto all'altra critica rivolta dal Pd a Grasso, ovvero di superare il tetto dei 240mila euro di retribuzione previsti per i dipendenti pubblici, Grasso replica: «La pensione da magistrato, di gran lunga inferiore al tetto dei 240 mila euro, dalla quale è stato prelevato per tre anni il dovuto contributo di solidarietà, previsto dalla legge, è frutto di 43 anni di lavoro svolto con impegno, senso delle istituzioni e spirito di sacrificio, condiviso con la mia famiglia. Non certo qualcosa di cui vergognarmi».

Inoltre, «come lei sicuramente saprà, nel mio secondo giorno da presidente del Senato ho scelto di dare un segnale di sobrietà tagliando, fatte salve le indennità irrinunciabili, varie voci tra cui quelle previste come 'rimborso spese per l'esercizio del mandato', esattamente quella dalla quale i parlamentari prelevano la quota che versano nelle casse del Pd. Oltre ai tagli alle mie indennità ho dimezzato il costo complessivo lordo del gabinetto del presidente e del fondo consulenza, con un risparmio annuo di circa 750.000 euro. Al termine del mio mandato avrò dunque fatto risparmiare alle casse dello Stato più di quattro milioni di euro». Insomma, «non ritengo pertanto sussista alcuna delle ragioni da lei addotte nella sua infamante lettera». E conclude: «Questo usato da Lei e da alcuni suoi colleghi di partito è un modo di condurre il confronto politico che rifiuto: mi auguro che non sia questo il tono della vostra campagna elettorale. Di certo non sarà il mio, se non costretto».