24 aprile 2024
Aggiornato 05:00
Governo ufficialmente in sella

Gentiloni incassa la fiducia tra assenze, distinguo e il caso Ala

Lega e MoVimento 5 Stelle fuori da aula Camera. Domani il passaggio al Senato, lì numeri risicati. Troppo poco per dormire sonni tranquilli: di questo passo ogni provvedimento sarà a rischio.

Il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni
Il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni Foto: ANSA

ROMA - Il governo Gentiloni incassa la fiducia della Camera con 368 sì (108 i no) ed ora il suo «governo di responsabilità» è ufficialmente in sella. Ma l'aula semivuota per l'assenza di M5s e Lega Nord e anche per molti posti vuoti nei banchi di Fi, di Fratelli d'Italia e dei fittiani dei Conservatori e riformisti, racconta un clima di tensioni non spente e di inquietudine. Tra chi vuole il voto subito, chi annuncia un'opposizione «senza sconti» e chi ha anche altro, molto altro per la testa. Per il Pd il congresso incombe: in molti si chiedono quali saranno le mosse di Matteo Renzi, convitato di pietra di ogni ragionamento politico, e cosa accadrà all'assemblea nazionale del Pd di domenica 18 dicembre.

A Montecitorio, intanto, il nuovo premier rivendica la «responsabilità» di un «governo a pieno titolo», traccia a grandi linee l'agenda dei prossimi mesi - dalla legge elettorale che però sarà fatta dal Parlamento e non dal governo all'esigenza di «rimettere al centro il lavoro», all'immigrazione, alle questioni internazionali - e chiede uno stop «all'escalation di violenza verbale». Non manca una stoccata ai grillini «i superpaladini della centralità del Parlamento che nel momento della fiducia sul governo non ci sono. Vi sembra logico?».

Ma il passaggio della formazione della nuova squadra di governo non è indolore e ha ripercussioni pesanti sulla maggioranza. Lega Nord e Movimento 5 stelle non partecipano al voto di fiducia ma questo era noto da giorni: alla pattuglia degli scontenti si aggiunge però il gruppo di Scelta civica-Ala. Esclusi dalla compagine di governo gli ex Sc e i verdiniani manifestano in aula tutte le loro perplessità con Enrico Zanetti, fino a ieri viceministro all'Economia, che si chiede la ratio di «una scelta che non capiamo». Insomma, ragiona Zanetti, questo «non può essere il governo in cui parti di chi ha sostenuto il No al referendum possono mettere veti su chi ha sostenuto invece in modo significativo le riforme», «se si sta in maggioranza non si vota solo quello che convince, noi abbiamo sempre rispettato una logica di squadra». Morale: per ora Sc-Ala non partecipa al voto di fiducia, ma con la spada di Damocle di arrivare alla sfiducia se non ci sarà un «chiarimento politico».

Anche l'Udc si dichiara «deluso» dalla composizione del nuovo governo, pur votando sì alla fiducia per Mattarella, che «ha evitato la tentazione del voto anticipato come rivincita sul referendum», spiega il vicesegretario Giuseppe De Mita. Mentre il capogruppo Rocco Buttiglione annuncia di volersi sfilare dal «mercato dei sottosegretari». La partita dei sottosegretari, che potrebbe rimediare, forse, a qualche maldipancia, non si chiuderà comunque, spiegano fonti di governo, prima della prossima settimana.

Al Senato, dove domani il premier Paolo Gentiloni si presenterà per chiedere la fiducia, l'Aventino di Ala potrebbe mettere davvero in difficoltà la maggioranza. Il capogruppo Lucio Barani ha già promesso che l'aula di Palazzo Madama sarà «una palude». A conti fatti il governo puà contare su una maggioranza risicata di 166 voti. Troppo poco per dormire sonni tranquilli: di questo passo ogni provvedimento sarà a rischio. Considerando anche il fatto che la minoranza dem, con Federico Fornaro, ha garantito la fiducia, ha sgombrato il campo da ogni velleità ricattatoria ma al tempo stesso - come lo stesso Pierluigi Bersani aveva annunciato con il famoso «mi dovranno convincere» - ha ribadito che vigilerà sull'azione del governo, chiedendo «un maggiore coinvolgimento in fase preventiva sui provvedimenti da adottare». Il governo Gentiloni inizia il suo lavoro e la strada è tutta in salita.