28 settembre 2023
Aggiornato 09:30
L'intervista al DiariodelWeb.it

«Non chiamatemi il grillino leghista»

Vittorio Bertola, il consigliere comunale torinese protagonista della polemica estiva sull'immigrazione nel Movimento 5 stelle, ci racconta il complicato dibattito interno alla sua forza politica sul tema che riempie le prime pagine dei giornali

ROMA – Fino a quest’estate era un modesto consigliere comunale noto solo ai suoi concittadini torinesi. Poi, un post sull’immigrazione pubblicato dal blog di Beppe Grillo lo ha reso protagonista del dibattito politico nazionale. Vittorio Bertola, subito ribattezzato polemicamente il «grillino leghista» per le sue proposte sulle espulsioni e sui rimpatri dei migranti, è però riuscito a svelare l’ambiguità di fondo del Movimento 5 stelle. Che, nonostante si proponga come forza di governo, non riesce ancora a parlare con una voce sola su temi rilevanti come questo. A qualche settimana di distanza, a freddo e alla vigilia della ripresa autunnale del dibattito politico, il DiariodelWeb.it ne ha discusso proprio con lui.

Bertola, dopo il suo controverso post sull'immigrazione in molti l'hanno bollata come «il più leghista dei grillini». Una definizione che le sta stretta?
Assolutamente. Non credo proprio di essere leghista e, anche prima di fare politica, non ho mai votato centrodestra. Però sull'immigrazione una parte del Movimento 5 stelle tende ad avere posizioni troppo vicine alla sinistra radicale. Semmai il mio è un approccio moderato, che cerca di risolvere i problemi, tanto di accoglienza quanto di controllo. Come si fa in tutti gli altri Paesi europei.

Non può negare, però, che le sue proposte abbiano dei punti di contatto con quelle della Lega. Quali sono le differenze?
L'approccio culturale. Salvini sostiene che siano tutti criminali, che vengano qui per delinquere, che bisogna rimandarli a casa loro. Noi non lo pensiamo: c'è sicuramente una piccola quota di immigrati delinquenti, ma la maggior parte, anche di quelli che non hanno diritto all'asilo, cercano solo un futuro migliore. Il problema è che questo non è il modo giusto. Parlando con loro si scopre che spesso sono gli stessi trafficanti a raccontargli che troveranno lavoro e benessere non appena arrivati in Italia. Invece vengono sfruttati per un anno dal sistema dell'accoglienza e poi scaricati in mezzo a una strada.

Come diceva, buona parte del M5s la pensa diversamente. Pochi giorni prima del suo post ne era stato pubblicato un altro firmato Manlio Di Stefano, secondo cui invece i profughi non sono troppi, ma è il governo che non li sa gestire.
Il mio post nasce proprio come complemento a quello. Le proposte di Di Stefano sono sensate per il lato dell'accoglienza, a cui ho aggiunto quelle per far funzionare meglio l'espulsione e il rimpatrio di chi non ha diritto. Le due questioni non sono opposte, ma complementari. Solo chi ha una visione estrema pensa che siano tutti da accogliere o tutti da rimandare a casa, senza eccezioni.

Ma come può permettersi il Movimento di non avere una posizione univoca su un tema così cruciale?
Questo non riguarda solo l'immigrazione, anche se forse si vede di più su questo tema perché è molto divisivo e ideologico. È sano che ci sia un dibattito, ad esempio tra chi vede questo problema dal parlamento e chi dai Comuni. Poi, però, bisogna arrivare a una sintesi.

E come ci si arriva?
Quando ci si avvicinerà alle elezioni politiche. Il Movimento non ha grandi carte di valori come gli altri partiti politici, che poi spesso le ignorano completamente. Ma, al momento del voto, si scriverà un programma che diventerà il patto con i cittadini. In passato il M5s non ha mai affrontato il problema, perché non era un'emergenza come oggi.

Nel frattempo non prenderete posizioni chiare?
Ogni eletto ha la propria coscienza, il proprio rapporto con i cittadini, e si prende la responsabilità di quello che fa. Noi non pensiamo che l'eletto possa fare come gli pare, ma ha una sua autonomia e una sua libertà. Qui a Torino, in passato, abbiamo già avuto approcci a questo tema e in qualche caso io e la mia collega abbiamo votato diversamente, senza drammi.

Anche Beppe Grillo, intanto, si sta facendo da parte per lasciare sempre più spazio a voi eletti. Che ne pensa?
È inevitabile, lo sapevamo fin dall'inizio. Un po' per motivi anagrafici e un po' perché lui non è un politico e non lo ha mai voluto diventare. All'inizio ha fatto la formidabile attività di megafono di un movimento nato dal basso, ora cerca di fungere da garante in caso di problemi interni o deviazioni dal progetto. Ma nelle scelte politiche di tutti i giorni dà la massima libertà ai suoi eletti. Già nel 2009, nell'evento di fondazione al teatro Smeraldo, ci disse che il suo obiettivo era quello di cambiare la democrazia italiana in cinque anni: magari ne serviranno dieci, ma alla fine lo stesso Movimento si scioglierà e magari darà vita ad altre forze politiche con altri programmi.

A proposito di Lega, pensa che sia stato giusto non raccogliere il loro invito a partecipare alla manifestazione anti-Renzi di novembre?
Il vecchio sistema dei partiti cerca di incasellarci. Per un po' ci definivano la nuova Rifondazione comunista, ora dicono che siamo i nuovi leghisti, che siamo razzisti e ce l'abbiamo con gli immigrati. Vogliono ridurci a una delle forze politiche esistenti, così da far passare l'idea che sotto sotto sia meglio votare l'originale. Noi non ci vogliamo confondere: in parlamento siamo disponibili a votare anche le proposte della Lega, se le condividiamo, ma non a partecipare alla manifestazione di un altro partito.

Tra un anno si vota anche da voi a Torino, oltre che a Milano, Napoli, forse Roma. Molti sostengono che il Movimento 5 stelle possa prendere almeno un sindaco di queste grandi città. Ci crede?
Sicuramente. Qui a Torino noi abbiamo buone possibilità. Al di là dei toni trionfali con cui alcuni giornali torinesi raccontano ciò che fa Fassino, parlando con i cittadini si scopre che sono insoddisfatti. Dipenderà da molti fattori, alcuni anche fuori dal nostro controllo: per andare al ballottaggio, ad esempio, il Pd non deve superare il 50% al primo turno. Non siamo i favoriti, ma Torino ha bisogno di un cambiamento dopo vent'anni di amministrazione di centrosinistra. Vent'anni nelle stesse mani sono pericolose: si creano reti di amicizie, contatti, privilegi che sono difficili da sciogliere. E noi speriamo di essere protagonisti di questo cambiamento.