Gassmann a Marino: «Roma te la pulisco io»
L’iniziativa dell’attore romano ha suscitato interesse e adesioni, compresa quella di Gigi Proietti. Ma ha fatto anche rispuntare personaggi come Giovanna Melandri, emblema della politica ad uso personale, sempre a galla quando si tratta di accaparrarsi nomine o visibilità a basso costo. Intanto il sindaco continua a giocare sulla pelle dell’Atac.
ROMA - Alessandro Gassman addirittura dall’Uruguay, dove sta recitando, ha sentito il dovere di farsi interprete di tutto il dispiacere che provano i romani doc come lui per quanto sta succedendo nella Capitale.
«Ripuliamocela noi, con le nostre mani e con le nostre ramazze, questa nostra città», è stato il messaggio lanciato da Gassmann, che di per se è il più severo atto di accusa che un cittadino romano può lanciare a chi gli fa pagare un fracco di tasse, ma poi lascia la città in uno stato di abbandono che anche il New York Times è costretto a scandalizzarsene.
SI APPELLA GASSMANN, RIAPPARE MELANDRI - L’appello dell’attore ha avuto il pregio di dare una scossa ai problemi della Capitale che il braccio di ferro fra il sindaco e il partito che ne ha consentito la nomina stanno degradando a gossip fra prime donne sull’orlo di una crisi di nervi.
L’atto di perentoria generosità con il quale Gassmann ha cercato di interrompere questa rissa da cortile in chiave capitolina, oltre ad adesioni sincere come quella di Gigi Proietti, ha però consentito il riaffacciarsi alla ribalta di personaggi come Giovanna Melandri coautrice i alcuni disastri politici ai quali va ascritta l’attuale situazione di Roma, non ultimo quello di essere stata proiettata come papabile candidata della sinistra: iattura che ha consentito l’uscita a sorpresa dell’outsider Marino, con le conseguenze che conosciamo.
UN DUELLO RUSTICANO - La farsa, se non fosse una tragedia, a Roma è arrivata ad un tale punto che il primo a congratularsi e ad accodarsi all’appello di Alessandro Gassmann è stato proprio il sindaco. Un gesto che può essere equiparato a quello di un imputato che in tribunale fosse il primo a sbellicarsi le mani in applausi ascoltando la durissima requisitoria di un pubblico ministero che lo sta accusando delle peggiori cose.
E’ ormai chiaro a tutti che Ignazio Marino, pur di continuare il suo duello rusticano con Matteo Renzi e con quella parte del Pd che vuole disfarsene, è pronto a qualsiasi colpo basso, anche se a pagarne le spese sono la città e i suoi beni e non i suoi avversari politici.
La prova di questa sindrome da «muoia Sansone con tutti i Filistei» da cui è stato contagiato si è avuta con il suo comportamento nei confronti dell’azienda pubblica dei trasporti romani, l’Atac.
LE PRIVATIZZAZIONI FARLOCCHE - Intanto cominciamo con il dire che l’Atac è una di quelle privatizzazioni-patacca che ormai rappresentano una delle voci fuori controllo del bilancio dello stato: l’azienda non è più una municipalizzata, ma una società per azioni fuori da ogni controllo se non quello degli azionisti, ossia, in questo caso, di un azionista politico chiamato Campidoglio.
In virtù di questo assetto societario il sindaco ha quindi tutti i poteri per sfiduciare il consiglio di amministrazione di una società controllata dal comune, ma a quali condizioni?
Forse creando un vuoto di potere a pochi giorni dell’approvazione del bilancio? Forse gettando un disdoro pubblico su amministratori che lui stesso ha nominato, due dei quali sono anche alti dirigenti del Campidoglio? Forse accollando all’Atac l’onere di vertenze, o forse anche di denunce, che per le modalità di cui si avvalso Marino «nell’operazione defenestrazione cda» hanno molte probabilità di ritorcesi contro l’azienda quando il sindaco sarà uccel di bosco?
Corre voce negli ambienti del Campidoglio che lo staff di Marino, per giustificare lo shock provocato nell’Atac abbia giustificato la sua iniziativa con queste parole: «Ci voleva una scossa, come nel caso delle squadre di calcio quando le cose non vanno bene e si decide di cambiare allenatore».
UNA SCOSSA COME NEL PALLONE - E’ il caso di ricordare che l’Atac è una azienda con 12 mila dipendenti, che a sua volta serve ogni giorno decine di migliaia di lavoratori che ad essa si affidano per andare e tornare dal lavoro.
Ignazio Marino ha usato un servizio essenziale alla vita della città che governa come ritorsione agli attacchi che Renzi gli ha sferrato: né può essere letto diversamente quel mettere alla porta l’assessore renziano Guido Improta come un tempo si faceva con i domestici. Soprattutto in vista di un «mol» posito (l’indicatore che indica la redditività di una impresa prima delle tasse e degli oneri finanziari) relativamente al 2014, dopo anni di inesorabili passivi.
CICERONE E CATILINA - Dopo tutto questo il sindaco ha avuto anche l’ardire di annunciare una privatizzazione, che al momento appare quanto improbabile quanto foriera di futuri inciuci, senza preoccuparsi di aprire un nuovo fronte sindacale dopo che l’attuale cda aveva faticosamente raggiunto un accordo con Cgil, Cisl, Uil, per far lavorare i macchinisti del metrò a Roma quasi quanto lavorano a Milano.
Renziani o non renziani. Di sinistra, di centro, o di destra , c’è solo una domanda da fare ad Ignazio Marino, ed ha origini antiche: «quanto ancora questa tuo attaccamento alla poltrona si prenderà gioco dei romani?».
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