Divina: sì ai campi. Ma non mandiamo i nostri soldati allo sbaraglio
Dopo l'annuncio del Capo di Stato Maggiore Danilo Errico, secondo cui le nostre forze armate sarebbero pronte all'intervento, la tensione cresce. E mentre è in corso il vertice tra Renzi, Alfano e Pinotti, il senatore della Lega Sergio Divina spiega al DiariodelWeb.it che, prima di intervenire in Libia, sarebbe necessario bloccare gli sbarchi e costruire centri di accoglienza in loco.
ROMA - Il presidente del Consiglio Matteo Renzi si è riunito questa mattina a Palazzo Chigi con i ministri degli Esteri Paolo Gentiloni, dell'Interno Angelino Alfano, della Difesa Roberta Pinotti e con il sottosegretario Marco Minniti per il punto settimanale sulla Libia e la lotta contro il terrorismo. La tensione è alta, a giudicare dall'intervista rilasciata dal Capo di Stato Maggiore Danilo Errico al Corriere della Sera, in cui ha dichiarato che l'esercito italiano è pronto a partire. Basta solo il via libera del governo, insomma, perché le nostre forze armate sbarchino in Libia. Il senatore della Lega Nord Sergio Divina si mostra cauto sull'ipotesi di intervento, sottolineando come ancora poco si sappia sul tipo di operazioni che l'Italia andrebbe a svolgere: «Facendo mente locale, e memori di quanto già avvenuto l'ultima volta in Libia, bisogna innanzitutto sottolineare che non si può andare lì con truppe di terra senza conoscere bene la situazione: nel 2011, infatti, ci siamo occupati dell'annientamento delle comunicazioni e degli avamposti più pericolosi, e non abbiamo portato avanti nessun altro tipo di operazione», ricorda il senatore.
DIVINA: BLOCCARE GLI SBARCHI E APRIRE CENTRI DI ACCOGLIENZA IN LOCO - «Quello che possiamo fare fin da subito, invece», sottolinea il senatore, «è fare più attenzione alla nostra sicurezza bloccando tutte le partenze: sappiamo che disperati sono una cosa, terroristi sono un'altra, ma una volta mescolati su un barcone non si possono distinguere», osserva Divina. «Inoltre, umanamente non siamo più in grado di accogliere nessuno. Abbiamo già troppi problemi nel nostro Paese, il 50% quasi di disoccupazione giovanile, e quindi non possiamo illudere che qui ci sia possibilità di lavoro e integrazione», spiega. «C'è solo la possibilità di rimanere bloccati in un campo che tanto assomiglia a campi di prigionia - i famosi Cara, Cie e così via -. In più chi arriva con intenzioni non pacifiche deve essere bloccato prima. Abbiamo organismi internazionali», prosegue il senatore del Carroccio, «di cui del resto faccio parte anch'io, come l'Osce, che da anni approvano risoluzioni che chiedono di costruire campi di accoglienza il più vicino possibile ai Paesi che attraversano crisi umanitarie. Quindi prima di partire, sulle coste nordafricane, si devono organizzare, da parte di Ong, campi che verifichino da dove arrivano i disperati, se hanno titolo per chiedere asilo, chi sono. Il più vicino possibile a quei Paesi perché, nel caso in cui la guerra finisca», puntualizza il senatore, «i profughi possano tornare nel territorio d'origine». Tutto questo, affinché parta solo «chi ha titolo per farlo, e non solo verso l'Italia, ma anche alla volta di altri luoghi dove magari i migranti hanno parenti e amici ad attenderli». Secondo Divina, dunque, «questi passaggi sono da fare, se non contestualmente, quasi prima di pensare a un intervento militare in Libia».
UNHCR: BLOCCARE LE PARTENZE E' ILLEGALE, APRIRE CENTRI IN LIBIA IMPOSSIBILE - Una soluzione, quella prospettata da Divina, che l'UNHCR ha però già bollato come poco praticabile. Nella puntata di Piazzapulita dello scorso 9 marzo, ad esempio, la portavoce dell'organizzazione ONU per i rifugiati per il Sud Europa Carlotta Sami, commentando la medesima proposta avanzata in quella sede da Giorgia Meloni, ha dichiarato che «fare un blocco navale significa dare luogo a respingimenti. L'Italia è già stata condannata per questo: i respingimenti non sono legali». Sull'opportunità di aprire centri di accoglienza in Libia, poi, la Sami ha puntualizzato che un'operazione di questo tipo sarebbe difficilmente realizzabile, in una situazione in cui «il territorio è governato da diverse milizie affiliate più o meno all'Isis»: «chi garantirebbe la sicurezza dei centri , delle persone che vi alloggiano e degli ufficiali che ci lavorano? Chi si occuperebbe dei viaggi aerei, chi potrebbe fare tutto ciò durante una guerra? Non è possibile avere dei centri di accoglienza in Paesi dilaniati dalla guerra», ha concluso la Sami.
SALEH: L'ITALIA INTERVENGA A DIFENDERCI - In ogni caso, secondo Divina la straordinarietà della situazione richiede risposte eccezionali, risposte che possibilmente precedano l'intervento armato. D'altra parte, lo stesso presidente del parlamento libico di Tobruk riconosciuto dalla Comunità internazionale Aqila Saleh ha incitato, nelle scorse ore, l'Italia a intervenire: «L'Isis e al Qaida possono passare dalla Libia all'Italia e ciò è un grande pericolo visto che molti terroristi sono in Libia. Auspichiamo il sostegno dell'Italia per lottare contro il terrorismo», ha affemato. Saleh ha quindi ricordato che la vicinanza geografica della penisola rispetto alla Libia rende l'Italia l'interlocutore privilegiato per organizzare la lotta contro il terrorismo: «siamo vicini, ci separano solo 300 chilometri di mare. L'immigrazione clandestina è un motivo di inquietudine per il popolo libico e rappresenta un problema per quello italiano perché può costituire un problema di sicurezza per l'Italia».
DIVINA: ADDESTRAMENTI MILITARI IN LIBIA? FACCIAMO ATTENZIONE - Il presidente ha poi elogiato il ruolo del nostro Paese nella rinascita economica libica. «L'Italia ha partecipato alla rinascita della Libia: siamo entusiasti dell'azione delle imprese italiane in Libia perché esse sono consapevoli dei bisogni del popolo libico», ha detto. «Le relazioni sono molto buone. Vi sono relazioni economiche forti fra l'Italia e la Libia e auspichiamo che i rapporti tornino alla normalità quando sarà ricreata la stabilità»: c'è bisogno quindi, per il presidente del parlamento libico, «della competenza italiana». Soprattutto, secondo Saleh è necessario che l'Italia tolga l'embargo imposto all'esportazione di armi verso la Libia, e si occupi dell'addestramento delle forze militari: perché la guerra che attualmente si combatte in Libia, ha specificato, non si gioca tanto tra le tribù, quanto con i terroristi. Su tale richiesta, però, Divina rimane cauto: «queste cose già le facciamo», ha specificato, «il problema è che abbiamo avuto delle notizie che ci devono far riflettere. Stiamo addestrando delle forze pensandole governative, ma richiamo di addestrare persone che poi vanno a combattere persone che poi vanno a combattere sul fronte opposto: per questo, dobbiamo stare molto attenti», ha sottolineato il senatore.
LEGA: PRIMA DELL'INTERVENTO, STOP ALL'IMMIGRAZIONE - Insomma, la ricetta della Lega per la risoluzione della crisi libica è chiara: innanzitutto bloccare gli sbarchi e aprire centri di accoglienza sulle coste nordafricane; solo a quel punto, pensare all'intervento. Al contrario, le richieste di Saleh si spingono più in là: pattugliamento del Mediterraneo, esportazione di armi, intervento sul territorio e addestramento delle forze armate libiche. Intanto, proprio in queste ore l'esecutivo discute sul da farsi. Perché, a giudicare dalle affermazioni di Errico, l'Italia sarebbe pronta a fare la sua parte.
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