5 settembre 2025
Aggiornato 08:30
Dimissioni di massa del PDL

Forza Italia in piazza il 4 ottobre

«Per reagire all'attacco contro Silvio Berlusconi e il diritto alla piena rappresentanza di milioni di italiani che lo votano Fi convoca una manifestazione, in concomitanza con la riunione della Giunta per le autorizzazioni del Senato»

ROMA - Forza Italia (Fi) ha indetto la sua prima manifestazione di piazza «Siamo tutti decaduti», per il 4 ottobre, giorno in cui la Giunta del Senato per le elezioni terrà la sua seduta pubblica sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore.

SIAMO TUTTI DECADUTI - «Per reagire all'attacco contro Silvio Berlusconi e il diritto alla piena rappresentanza di milioni di italiani che lo votano - è scritto nella nota di Fi -, Fi ha deciso di convocare una manifestazione per venerdì 4 ottobre, in concomitanza con la riunione della Giunta per le autorizzazioni del Senato. La manifestazione dal titolo 'Siamo tutti decaduti', si terrà alle ore 17 a Roma, a Piazza Farnese. L'attacco allo stato di diritto e ai fondamentali principi democratici merita una nostra fortissima risposta».

GIOVANARDI, NON MI DIMETTO - Intanto fra le fila del Popolo della libertà però, c'è chi ha detto che non si dimetterà da Parlamentare per solidarietà politica al Cavaliere. Il senatore del Pdl Carlo Giovanardi Le ha detto che le dimissioni «non sono la modalità giusta» da farsi per spingere alla responsabilità le forze politiche.
«Ho sostenuto nella Giunta per le autorizzazioni del Senato - ha osservato Giovanardi - che la decisione di applicare la retroattività per decadenza da senatore a Silvio Berlusconi è una vera e propria 'mascalzonata', costruita su violazione di principi fondamentali della Costituzione e delle nostre leggi, stracciando tra l'altro il principio del 'ne bis in idem' e del giudice naturale precostituito per legge e ignorando due recentissime sentenze di assoluzione della Seconda e Terza Sezione penale della corte di Cassazione passate in giudicato e irrevocabili per lo stesso identico fatto nei confronti di Silvio Berlusconi, considerato invece colpevole dalla sezione feriale presieduta dal dottor Esposito. Se il 14 ottobre il Pd si renderà complice di questa mascalzonata è evidente che verranno meno le condizioni per continuare una alleanza di governo. Per queste ragioni non ho firmato e non firmerò le dimissioni da senatore perché ritengo non siano la modalità giusta per costringere tutte le forze politiche del Parlamento ad assumersi le loro responsabilità nei confronti del paese, soprattutto in vista della prossima imminente campagna elettorale».

BRUNETTA E SCHIFANI SCRIVONO A COLLE - Invece i due capigruppo del Pdl alla Camera e al Senato, i Renato Brunetta e Schifani, hanno scritto una lettera al capo dello Stato, pubblicata su Il Giornale: «Signor presidente della Repubblica, nella nostra veste di presidenti dei gruppi parlamentari di Fi, intendiamo rappresentarle alcune considerazioni a seguito della sua dichiarazione relativa all'assemblea dei nostri gruppi parlamentari svoltasi ieri».

RIUNIONE DI GRUPPI E' PREVISTA DA COSTITUZIONE - «I gruppi parlamentari - hanno scritto -, nella loro autonomia costituzionalmente garantita, hanno ritenuto di riunirsi, per esaminare le prospettive di vicende prossime che investiranno direttamente attribuzioni rimesse in via esclusiva agli organi parlamentari dall'articolo 66 della Costituzione. L'assemblea non era finalizzata né ad assumere decisioni sul governo del paese né, tantomeno, anche per l'evidente illegittimità di simili ipotesi, ad assumere orientamenti operativi sulle decisioni della magistratura o sulle prerogative del capo dello Stato. Né la riunione era istituzionalmente volta a manifestare solidarietà al presidente Berlusconi, parlamentare anch'egli e leader del partito, pur essendo questa una eventualità che non costituirebbe, com'è di tutta evidenza, alcuna ipotesi di comportamento inappropriato o ingiustificabile da parte di coloro che condividono, con il presidente Berlusconi, i medesimi orientamenti politici e le medesime battaglie».

NESSUNA INTERFERENZA SU COLLE O PREMIER - «Nessuno - hanno osservato Brunetta e Schifani - ha voluto interferire con la vita del governo o con le decisioni del presidente del consiglio e del capo dello Stato. In gioco è solo, ma si tratta della questione più importante per dei parlamentari, il rispetto della Costituzione da parte dell'organo che rappresenta direttamente la sovranità nazionale: il Parlamento della Repubblica. Desumere ulteriori intenzioni non corrisponde alle motivazioni dell'iniziativa che è e rimane rimessa alla sola libera coscienza di ciascun parlamentare di Fi».

SCEGLIERE IN LIBERTA' - «L'oggetto della riunione - ha proseguito la lettera a Napolitano - riguardava viceversa l'atteggiamento da assumere, ciascuno nella propria libertà, come si addice a parlamentari che rappresentano la Nazione e godono delle guarentigie di cui all'articolo 67 della Costituzione, rispetto all'orientamento del Senato della Repubblica, che sembra ormai farsi strada e che comunque rappresenta un'eventualità molto concreta, in ordine alle determinazioni sull'applicazione al senatore Berlusconi della legge Severino. In particolare, si tratta, come ella sa, di una pronunzia che il Senato dovrà assumere nella propria qualità di organo della verifica dei poteri ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione, qualità che, secondo costante orientamento della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, costituisce esercizio, seppure speciale, di funzioni giurisdizionali».

SU SEVERINO DIBATTITO APERTO - «Che sulla legge Severino - hanno concluso i capigruppo - vi siamo consistenti dubbi di legittimità qualora la si voglia applicare al caso Berlusconi è dimostrato dalle tantissime voci, di ogni orientamento culturale, che tra i giuristi ed esperti si sono nelle ultime settimane levate. Il rifiuto di ascoltare questi dubbi da parte di molti parlamentari, malgrado ci si trovi in una sede di verifica dei poteri, è stato ritenuto dalla totalità dei partecipanti alla riunione dei gruppi di Forza Italia, un'inaccettabile negazione dello Stato costituzionale di diritto, tale da rendere intollerabile la permanenza in un Parlamento che si dimostrasse cosi sordo alle ragioni della legalità».