17 agosto 2025
Aggiornato 16:00
Gli atti della Procura depositati alla Consulta

Il Capo dello Stato non è «inviolabile» come un sovrano

Lo sostiene la Procura di Palermo negli atti depositati alla Consulta per il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale per le intercettazioni legate all'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia: Il Colle non può esigere la distruzione delle intercettazioni

ROMA - Il presidente della Repubblica non gode della inviolabilità come se fosse un sovrano di una monarchia. Lo sostiene la Procura di Palermo negli atti depositati alla Consulta per il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale per le intercettazioni legate all'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
«La tesi di fondo dell'Avvocatura dello Stato - scrivono nella memoria i professori Alessandro Pace, Giovanni Serges e Mario Serio, che compongono il collegio difensivo della Procura di Palermo - è che la norma dell'art. 90 della Costituzione, prevedendo in favore del Presidente la irresponsabilità per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni (con la sola eccezione dei reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione) configurerebbe per lo stesso un regime globale di immunità, anche penale, con la conseguenza di rendere illegittima in sé qualsiasi forma di ascolto delle conversazioni, di registrazione delle stesse, ed a maggior ragione di valutazione ed utilizzazione processuale».

Ma secondo la difesa dei pm di Palermo «un'immunità assoluta potrebbe essere ipotizzata per il Presidente della Repubblica solo se, contraddicendo i principi dello Stato democratico-costituzionale, gli si riconoscesse una totale irresponsabilità giuridica anche per i reati extrafunzionali. Una simile irresponsabilità finirebbe invece per coincidere con la qualifica di 'inviolabile', che caratterizza il Sovrano nelle monarchie ancorché limitate: una inviolabilità che - tenuta distinta dalla inviolabilità garantita dallo Statuto e dalle leggi a tutti i cittadini - implicava la totale immunità dalla legge penale nonché dal diritto privato quanto a particolari rapporti».

La tesi difensiva dei pm palermitani è dunque che «non può ritenersi che l'essere rappresentante dell'unità nazionale possa costituire la fonte di ulteriori poteri, quale, nella specie, il potere di esigere la distruzione della documentazione delle intercettazioni di tutte le telefonate a lui rivolte ancorché inviate da soggetti sottoposti ad indagine penale. Quindi la posizione del Presidente della Repubblica si affianca, a livello paritario, agli altri poteri dello Stato».