29 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Un documento che in parte riscrive la storia clinica di Stefano Cucchi

Cucchi, lesione L3 risale almeno al 2003

Il documento acquisito dagli inquirenti conferma la linea della Procura di Roma. La sorella Ilaria: La polizia causò frattura alla L3. Sappe: Agenti penitenziaria hanno rispettato la legge

ROMA - Un documento che in parte riscrive la storia clinica di Stefano Cucchi, il giovane deceduto ad una settimana dal suo arresto il 22 ottobre del 2009, nella struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini. Negli ultimi giorni gli inquirenti della Procura di Roma hanno acquisito, tramite la polizia giudiziaria, un certificato medico dello stesso nosocomio e risalente al 25 agosto del 2003. L'incartamento nel suo complesso è stato depositato all'attenzione dei giudici della III corte d'assise e messo a disposizione delle parti, compresi i componenti del collegio peritale che proprio oggi hanno avviato a Milano i lavori per individuare le cause del decesso, così come disposto dai giudici nelle scorse settimane.
Quel 25 agosto i medici del Dea, esaminata la radiografia della schiena, affermano che «dai primi accertamenti, a quanto visibile, non si rilevano lesioni osteotraumatiche di data recente». L'accertamento, a questo punto, fa ritenere che la lesione alla vertebra lombare L3 sia addirittura precedente al 2003. Questa assistenza avvenuta, per ammissione dello stesso Cucchi al personale sanitario, in seguito ad una caduta accidentale per l'assunzione di alcolici e una crisi epilettica, rischia di mettere in dubbio la tesi della parte civile secondo cui la stessa lesione sarebbe avvenuta a causa del pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria il 16 ottobre 2009 e avrebbe insieme ad altri elementi portato alla morte del giovane geometra.
Per quel che ha subito Cucchi e per come è finito sono sotto processo 9 tra medici e infermieri del Pertini, e 3 agenti della penitenziaria. I primi rispondono dello stato d'abbandono che portò alla morte, gli altri delle botte. Questo accertamento di cui oggi si ha notizia - secondo quanto si sottolinea a piazzale Clodio - conferma l'impostazione dei pubblici ministeri Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy i 'secondini' devono rispondere di lesioni e non di omicidio preterintenzionale. Inoltre i consulenti dei pm, che avevano studiato le lesioni a livello macro e istologico all'indomani della morte di Cucchi, il trauma alla L3 è assolutamente sovrapponibile a quello osservato nel 2003.

La sorella Ilaria: La polizia causò frattura alla L3 - «Le lastre e i documenti erano ben note da mesi». E «non dicono nulla, ma proprio nulla di diverso e di nuovo. Non esiste nessun referto medico di frattura di L3 ulteriore e diverso fatto da sanitari diversi da quelli del Fatebenefratelli». Così afferma in una nota Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, rispetto al certificato medico depositato dagli inquirenti all'attenzione dei giudici della III sezione della corte d'assise, nell'ambito del processo in cui sono imputate 12 persone per la morte del giovane geometra.
«Nessuno ha mai in precedenza diagnosticato una frattura, che gli è stata procurata dagli agenti di polizia penitenziaria che la Procura vuole evidentemente difendere - sottolinea - Se non si trattasse delle morte di Stefano troverei comico il fatto che si sbandieri come nuovo e dirompente un dato che non esiste, non é mai esistito ed è frutto esclusivo ancora una volta delle elucubrazioni dei consulenti del pubblico ministero così convincenti da costringere i giudici della corte di Roma a mandarci oggi a Milano», per la perizia disposta per accertare le cause del decesso del giovane. «La verità su mio fratello si fa qui a Milano e non a Roma», aggiunge.

Sappe: Agenti penitenziaria hanno rispettato la legge - «La nostra convinzione è che a piazzale Clodio la polizia penitenziaria ha lavorato come sempre nel pieno rispetto delle leggi, con professionalità e senso del dovere. Ci auguriamo che anche gli approfondimenti giudiziari confermino questa nostra convinzione. Di sicuro rigettiamo ogni tesi manichea che ha associato e associa più o meno velatamente al nostro lavoro i sinonimi inaccettabili di violenza, indifferenza e cinismo». Così afferma in un comunicato Donato Capece, segretario generale del Sappe-sindacato autonomo polizia penitenziaria, rispetto al documento acquisito dalla Procura di Roma rispetto ad un certificato di pronto soccorso dell'agosto 2003 relativo a Stefano Cucchi.
Nel documento che il Sappe ritiene essere «importante e significativo» si «accerta che Cucchi presentava delle lesioni alla schiena». Questo episodio «del quale probabilmente neppure i familiari erano a conoscenza (...) certamente aiuta a fare più chiarezza sulle cause della morte del povero ragazzo». Capece poi aggiunge: «Attendiamo dunque con serenità gli accertamenti della magistratura». Il sindacalista ricorda poi «la rigorosa inchiesta amministrativa disposta dal Capo del Dap sul decesso di Cucchi escluse responsabilità da parte del personale di polizia penitenziaria, in particolare di quello che opera nelle celle detentive del palazzo di giustizia a Roma».
Capece sottolinea quindi: «Noi confidiamo che la magistratura accerti gli elementi di cui è in possesso. Ribadisco una volta di più che il Sappe ha il massimo rispetto umano e cristiano per il dolore dei familiari di Stefano Cucchi come lo abbiamo per tutti coloro che hanno perso un proprio caro in stato di detenzione. Ma non possiamo accettare una certa (tendenziosa e falsa) rappresentazione del carcere come luogo in cui quotidianamente e sistematicamente avvengono violenze in danno dei detenuti come talune corrispondenze giornalistiche hanno detto e scritto nei giorni immediatamente successivi la morte del ragazzo».