25 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Direzione Nazionale del PD

PD in pressing per il Governo d'emergenza, ma Bersani: Non è il mio progetto

Il parlamentino del Pd ha discusso per circa sei ore e non si è trattato di un confronto di routine: su diversi temi, dall'ipotesi di un governo di emergenza alla linea nei confronti della Bce,

ROMA - E' stata un direzione faticosa, quella di oggi, per Pier Luigi Bersani. Il parlamentino del Pd ha discusso per circa sei ore e non si è trattato di un confronto di routine: su diversi temi, dall'ipotesi di un governo di emergenza alla linea nei confronti della Bce, passando per referendum, Radicali e alleanze, gli interventi sono stati animati e diverse posizioni della segreteria sono state messe in discussione, anche da chi, come Dario Franceschini ed Enrico Letta, sta con il segretario. Un fatto preoccupante per Bersani, se si considera il dibattito sottotraccia sulla leadership alle prossime elezioni, tema oggi non accennato da nessuno ma che venerdì sera aveva fatto sbottare il segretario che aveva parlato di «giochetti» e aveva sfidato a dire chiaramente se c'è un problema sul suo nome. Alla fine, Bersani ha ripetuto la propria disponibilità al Governo di emergenza, ma ha anche avvertito: «Se sarà, ci renderemo disponibili ma non può essere il nostro progetto, rischieremmo di finirci sotto come a un camion...».
Il dato politico è che oggi si è materializzato un fronte trasversale, rispetto agli schieramenti interni, che ha chiesto che il partito lavori per un «governo di transizione», anziché invocare elezioni; che non si scelga una linea «europeista a giorni alterni», di fronte alla ricetta indicata dalla Bce; che valuti bene il fronte delle alleanze, tenendo aperto il confronto con i centristi. Walter Veltroni, Enrico Letta, Giuseppe Fioroni, Dario Franceschini, su molti di questi punti hanno pronunciato parole simili. Senza contare che Arturo Parisi, in maniera provocatoria, è arrivato ad evocare le dimissioni del segretario colpevole di un errore politico grave, secondo l'ex ministro della Difesa, sulla vicenda del referendum elettorale.

Il tema del «governo di emergenza», in particolare, è stato al centro della discussione. Il segretario, aprendo i lavori della direzione, aveva ribadito la sua linea delle scorse settimane, assai poco entusiasta rispetto a soluzioni di transizione: «Noi non possiamo non renderci disponibili nel caso in cui si dovesse presentare un Governo del presidente, ma il nostro orizzonte sono le elezioni». Una frase significativa: il Pd non intende giocare un ruolo di primo piano per favorire il governo di transizione; poi, dal momento che Giorgio Napolitano è uno dei principali sostenitori di questa tesi, se la cosa dovesse prendere corpo il Pd farebbe la sua parte.

Raccontano che proprio per questo Walter Veltroni abbia deciso di intervenire. Le parole di Bersani, subito rimbalzate sui siti dei principali quotidiani, non erano piaciute. E per questo l'ex leader Pd ha detto: «Da questo appuntamento il Pd esca con una proposta politica chiara e inequivocabile». Stessa richiesta di chiarimento è arrivata dal numero due del partito Letta, da Franceschini e da Fioroni. Nicola Latorre, al contrario, aveva chiesto di dire con nettezza che la strada maestra sono le elezioni, visto che «non mi sembra ci siano le condizioni» per quel Governo di emergenza di cui si parla.

Nella replica finale, raccontano, Bersani ha detto le parole più nette: «Certamente dobbiamo renderci disponibili ma il nostro progetto non è quello (del governo di transizione,ndr), se il nostro progetto fosse quello ci finiremmo sotto, come a un camion...». Per il segretario, un partito di opposizione non può far vedere di temere il voto, deve chiedere le elezioni e proporre un'alternativa agli elettori. Poi, semmai, se si creano le condizioni sosterrà anche un Governo di transizione. E per Bersani «non c'è contraddizione tra le due ipotesi», quello che non si può dire è che il Pd non debba invocare il voto. Al contrario, secondo Veltroni, «se vogliamo che nella maggioranza si muova qualcosa è necessario sostenere con forza l'ipotesi del Governo di transizione, per convincere quanti vorrebbero liberarsi di Berlusconi ma temono di andare al voto e di non rientrare in Parlamento».

Non meno significativo il dibattito sulla BCE. Se Stefano Fassina, responsabile economia, ha ribadito le sue critiche alla ricetta «neoliberista» di Mario Draghi e Jean Claude Trichet, altri come Letta hanno invitato ed «evitare l'europeismo a giorni alterni» e a «lasciare a Berlusconi la polemica contro la tecnocrazia europea». Linea condivisa, anche in questo caso, da Veltroni e Fioroni. Bersani, alla fine, ha cercato di mediare, affermando in conferenza stampa che il Pd è pronto a garantire il risanamento e il pareggio di bilancio come chiede l'Europa, ma che la ricetta non se la fa dettare da altri. «Se ci sono da trovare 20 milioni li troviamo. Magari non li troviamo tagliandoli all'assistenza...».

Dura la polemica di Parisi sul referendum, l'ex ministro ha accusato il segretario di avere sbagliato la scelta di fronte all'iniziativa e, provocatoriamente, gli ha detto che se il Pd fosse il partito «che voi volete», cioé un partito «dell'egemonia», qualcosa che ricorda il Pci, «oggi ti dovresti presentare dimissionario». Parle che l'ex ministro non ha pronunciato, ma ha messo per iscritto e affidato 'agli atti' della direzione. Non una richiesta di dimissioni, insomma, ma una provocazione velenosa, visto che il dibattito sulla leadership è il vero sottotesto di quello che sta accadendo nel Pd. Lo smarcamento di Franceschini, le posizioni di Letta, che collimano con quelle di Veltroni e Fioroni, fanno capire al segretario che gli equilibri interni sono più che mai in movimento. E che se non si voterà in primavera, tutto potrà cambiare.