20 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Crisi libica

Colloqui in ordine sparso, Diplomazia divisa sulla crisi

Proseguono i contatti confidenziali tra le parti. Il grande obiettivo è il petrolio

ROMA - A quattro mesi dall'inizio delle operazioni militari della Nato, la diplomazia internazionale cerca ancora una soluzione alla crisi in Libia. E ogni giorno appare sempre più divisa, nonostante le dichiarazioni ufficiali.

I negoziati con Tripoli e Bengasi proseguono infatti in ordine sparso. Il Gruppo di contatto, che la scorsa settimana ha tenuto la sua quarta riunione in Turchia, ha annunciato una linea comune, disattesa pochi giorni dopo. E così l'inviato dell'Onu Abdel Ilah al Khatib, indicato come «esclusivo negoziatore» per conto della comunità internazionale, non è poi così «esclusivo». Gli Stati Uniti, proprio oggi, hanno confermato di avere incontrato emissari del regime, la Francia continua a portare avanti la sua strategia di contatti «confidenziali» e la Russia, che ha rifiutato l'invito a partecipare ai lavori a Istanbul, accoglierà in giornata a Mosca il ministro degli Esteri di Tripoli, Abdel Ati al-Obeidi.

Iniziative unilaterali che l'Italia non vede di buon occhio e non intende sposare. Almeno ufficialmente. Lo ha spiegato lo stesso titolare della Farnesina, Franco Frattini, alla vigilia e durante la riunione in Turchia, commentando con toni duri le iniziative del governo francese delle scorse settimane. E non è un caso che il ministro abbia accolto con soddisfazione la decisione finale del Gruppo di contatto di indicare in al Khatib l'unica persona deputata a formulare una proposta di negoziato alle due parti in conflitto. «Su di lui si accentreranno tutti i contatti diretti che vari paesi, tra cui l'Italia, hanno condotto nelle ultime settimane con esponenti del regime. Non sta ai singoli paesi intrattenere contatti segreti, sta ad al Khatib guidare i negoziati perché altrimenti sarebbe molto controproducente», aveva precisato il Frattini a margine della riunione.

Non è stato e non sarà proprio così. La diplomazia internazionale continua a parlare con due voci: quella ufficiale, che testimonia un'unità di intenti, il tentativo di trovare una via comune in vista di una soluzione accettabile della crisi; e quella ufficiosa, segreta, confidenziale, che vede molti paesi impegnati ad aprire canali, ingaggiare colloqui, allacciare relazioni con tutte le parti in conflitto. E anche l'Italia, nelle scorse settimane, ha fatto la sua parte. Secondo una fonte confidenziale contattata da TM News, la diplomazia italiana avrebbe fatto leva su un esponente molto vicino al regime, il figlio dell'attuale ministro dell'Interno di Tripoli. Che, tra l'altro, secondo quanto si è appreso, sarebbe anche la stessa persona contattata dal governo francese.

Quello su cui tutti sembrano convergere, invece, è che a questo punto non si può fare a meno di venire a patti con il colonnello. I bombardamenti della Nato lo hanno indebolito, non eliminato. E se è vero che Muammar Gheddafi «non è un obiettivo» dei raid dell'Alleanza, allora bisognerà trovare un'altra strada, trattare con il colonnello, magari proporre un salvacondotto per lui e la sua famiglia in cambio di un passo indietro. Chi riuscirà a fare la proposta migliore, avrà vinta la partita. Perché è evidente che le divisioni della diplomazia - all'apparenza negate - hanno un obiettivo chiaro: riuscire a conquistare una posizione di favore, con Tripoli ma anche con Bengasi, per potere avere a condizioni favorevoli l'unico premio che conta davvero, il petrolio.