Di Pietro: accordo Marchionne uguale a quello fascista
Il leader dell'IdV sul suo blog: «Operai prima ricattati, poi abbandonati. L'azienda continua a vivere di denaro pubblico e risorse finanziarie italiane»
ROMA - «Adesso che col ricatto è riuscito a imporre agli operai di Mirafiori un accordo che calpesta tutti i loro diritti, Sergio Marchionne non ha più bisogno di mentire. Può cominciare a dire apertamente quello che finora aveva sempre negato, mentre tutti, tranne noi dell'Italia dei Valori, gli credevano o facevano finta di credergli. Solo noi avevamo denunciato che l'intenzione della Fiat era quella di abbandonare l'Italia e di spostare la testa dell'azienda negli Usa e il grosso della produzione in Brasile e nell'est europeo. Altro che rilancio dell'Italia!». Lo scrive il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, sul suo blog.
«Per costringere i lavoratori a ingoiare il suo accordo, che è uguale a quello imposto nel 1925 sotto regime fascista - prosegue l'ex pm - Marchionne ha detto che in caso contrario se ne sarebbe andato dal paese. Però aveva promesso che, se invece gli operai si fossero piegati, la Fiat sarebbe rimasta in Italia e avrebbe fatto nuovi investimenti. Pur di non restare senza lavoro, molti operai hanno scelto di subire il ricatto, anche se la metà almeno ha invece resistito e votato no all'accordo».
«Era una bugia e adesso è proprio Marchionne a confermarlo - sottolinea Di Pietro - quando dice che la Fiat e la Chrysler potrebbero unificarsi e che l'azienda torinese si potrebbe spostare a Detroit. Però vuole che il costo della sua riconversione e della sua ridislocazione lo paghino i suoi lavoratori e lo Stato italiano, cioè i cittadini. Tutti noi.
La Fiat continua a vivere di denaro pubblico e risorse finanziarie italiane. Ha superato le sue molte crisi, ultima quella quasi terminale del 2004, grazie alle continue trasfusioni del governo italiano, senza mai dare niente in cambio. Stavolta però le cose sono molto peggiori che nel passato. Stavolta la Fiat utilizza quelle risorse per lasciare l'Italia, provocando così un immenso danno al sistema industriale del nostro Paese, e questo attentato al sistema industriale italiano se lo fa anche finanziare dallo Stato».
«Il suo lavoro Marchionne - conclude l'ex pm - lo fa davvero bene. Peccato che il suo lavoro non sia vendere macchine, cosa che infatti alla Fiat non riesce più da un po', ma fare gli interessi degli azionisti, cioè della famiglia Agnelli, a spese dei lavoratori e dell'intera Italia».