Berlusconi «svela» patto Fini-Anm: sponda in cambio di «protezione»
Ennesimo duro attacco contro il Presidente della Camera. Poi il Premier nega le «dichiarazioni pubbliche». Il Pdl? Da cambiare
ROMA - Alla fine è costretto a fare una mezza smentita, a specificare di non aver fatto «nessuna dichiarazione pubblica» in proposito. E infatti l'ennesimo duro attacco contro Gianfranco Fini e il suo rapporto 'privilegiato' con la magistratura, Silvio Berlusconi lo sferra 'tra quattro mura', mentre si trova a pranzo con gli europarlamentari all'Hotel Duke, zona Parioli, Roma.
SFOGO «PRIVATO» - Per la verità non è la prima volta che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si sfoga in «privato» per quello che considera un vero e proprio asse tra il presidente della Camera e le toghe. Ma questa volta il 'fiume in piena' tracima con abbondanza di particolari: il premier riferisce di un accordo tra Fini e l'Anm, in base al quale l'uno avrebbe bloccato la stretta sulle intercettazioni e le altre leggi invise alle toghe, e gli altri avrebbero garantito una sorta di «protezione». Fini, parlando con i suoi «fedelissimi», fa trapelare la sua sprezzante reazione: «E' una delle tante barzellette del vasto repertorio del Cavaliere».
DDL INTERCETTAZIONI - Il presidente del Consiglio, però, riferiscono alcuni eurodeputati, non sorride neanche un po' quando parla dell'ex alleato e sottolinea come - sostanzialmente - il ddl sulle intercettazioni si sia arenato proprio dopo l'incontro tra Fini e il sindacato delle toghe. Non solo: Berlusconi 'svela' anche che sarebbe stato lo stesso presidente dell'Anm, Luca Palamara, a consegnare alla finiana presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno, un gruppetto di emendamenti al provvedimento.
Il premier, d'altra parte, è assolutamente convinto, e non da poco, che l'unico obiettivo di Fini sia quello di «eliminarlo», che dietro la rottura che si è determinata nella maggioranza non ci siano «ragioni politiche» ma solo «personalismi». Né pronostica un futuro roseo per Fini: a suo giudizio, infatti, è destinato a «sparire».
Ma a sparire presto, e soprattutto se si dovesse andare a elezioni anticipate, potrebbe essere anche il logo 'Popolo della libertà': dovremmo cambiarlo - ha detto il premier - un po' perché l'acronimo non ha fatto presa sulla gente, un po' perchè dietro l'angolo c'è il rischio di un contenzioso giuridico con Fini.
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