27 aprile 2024
Aggiornato 20:00
Editoriale

Riforme: primo obiettivo deve essere sviluppo e occupazione

Per rilanciare l’Italia bisogna armonizzare macchina statale e federalismo

La vera bella notizia del post elezioni regionali è che da ora in poi possiamo andare avanti tre anni senza scadenze elettorali nazionali.
L’Italia ha dunque tre anni davanti a se per guardare ai bisogni del Paese e dei cittadini senza il filtro della propaganda e della contesa per il potere.
Bisogna dire che il mondo della politica sta ha già dimostrando di essere ben consapevole di questa opportunità se a distanza di poche ore dalla chiusura dei seggi è «riforme» la parola più ricorrente nelle dichiarazioni del dopo elezioni.
Già si prefigurano dialoghi, alleanze, prove di forze, o alternativamente inciuci, su come realizzarle.
Resta invece in una nebulosa l’identità di quali realizzare urgentemente per rispondere alla domanda di modernizzazione che sale dal territorio.

Sarà infatti nella scelta delle priorità che si misurerà l’intensità del vento nuovo che molti sensori hanno ritenuto di leggere nei risultati delle regionali.
Gli italiani, sia quelli che si sono affidati alla Lega anche in regioni come la Toscana e l’Umbria, sia quelli che non sono andati a votare, hanno detto chiaro o sottinteso che vogliono soprattutto una cosa: essere ascoltati di più.
Dove c’era una forza politica capace di raccogliere questa istanza hanno premiato il radicamento con il territorio di Umberto Bossi e dei suoi uomini. Dove hanno ritenuto che mancassero orecchie disposte a recepire questo messaggio hanno preferito restarsene a casa.

Ora non è difficile indovinare di che cosa abbiano più bisogno i cittadini italiani in queste ore.
Con circa 400 mila posti di lavoro persi nel 2009 e mezzo milione di casse integrati dal destino in bilico; con i consumi scesi sotto zero e le famiglie costrette a risparmiare anche sui generi alimentari ( secondo i dati dell’Istat), ci vuole poco a capire che l’Italia ha bisogno al più presto di un rilancio dell’occupazione e di maggiori disponibilità nelle tasche delle famiglie per rilanciare la domanda interna.

Sulla tenuta delle imprese il governo e in modo particolare il ministro Tremonti hanno fatto un buon lavoro che si è meritato anche l’elogio del Fondo Monetario Internazionale.
Dopo tre settimane di permanenza in Italia il verdetto degli emissari del Fmi, una istituzione mai tenera in passato con il nostro paese, è stato di apprezzamento per le strategie anti-crisi adottate dal governo Berlusconi e per il sistema bancario che non ha avuto bisogno di denaro pubblico.
C’è voluta la crisi per accorgersi che l’Italia è forse migliore di quanto gli stessi italiani credano.
Alle banche, da sempre considerate un freno allo sviluppo, ora viene riconosciuta una saggezza e una oculatezza in grado di mantenere la rotta anche nel momento della tempesta.
Al sistema delle imprese, soprattutto le piccole e medie, viene attribuita l’energia necessaria per fronteggiare il cambiamento.
Quindi le condizioni per rilanciare l’occupazione ci sono. Quello che allo stato attuale ancora è deficitario è il quadro generale in cui inserire questa voglia di riscatto.
Facciamo qualche esempio concreto.
Primo, l’Italia rimane fra i paesi più cari ( pesano tasse e costo delle utility) per le imprese. Burocrazia, ritardi, cavilli e l’intreccio farraginoso delle regole sono gli elementi che maggiormente zavorrano le aziende.
A seguire basta citare alcuni dati: ci vogliono 66 settimane (oltre un anno) per chiudere una vertenza sindacale rispetto alle quattro settimane del Giappone e alle otto degli Usa;
servono in media 257 giorni (più di otto mesi) per ottenere i permessi necessari a costruire un nuovo edificio destinato ad attività produttive o commerciali contro i 40 giorni degli Stati Uniti.
Siamo il paese industrializzato in cui è più costoso investire in ricerca e sviluppo.
Nel Lazio le istituzioni che hanno il compito di supportare lo sviluppo delle imprese incentivando l’innovazione sono così divise: «Bic Lazio» fa capo all’assessorato al Lavoro; «Filas» fa riferimento all’Innovazione; «Sviluppo Lazio» è collegata al Bilancio.
Basta questo breve spaccato per immaginare quale dispersione di risorse sia economiche che culturali provochi questo spezzettamento di incarichi e competenze.
Basta anche a far concludere che la prima riforma da fare è rivedere completamente la macchina dello Stato e il suo funzionamento, i suoi costi, rispetto alle competenze territoriali.

Il rilancio dell’azienda Italia va inoltre di pari passo con l’altra riforma di cui si parla, quella fiscale.
Il fisco deve incidere di meno sul costo del lavoro per liberare risorse da indirizzare in investimenti e consumi delle famiglie.
Senza far ripartire la domanda interna sarà infatti difficile coniugare tutto il resto. Affidare le sorti della ripresa unicamente alle esportazioni può riservare infatti sorprese poco piacevoli.
Le stime sul commercio mondiale registrano infatti una crescita abbastanza sostenuta nel 2010, ma contrassegnata fa forti tensioni fra i poteri forti rappresentati da Cina e Usa e da diffusi tentativi di innalzare barriere protezionistiche.

Il Fondo Monetario Internazionale in questi giorni ci ha fatto scoprire una Italia migliore di quella che pensavamo, spetta ora al governo reso più forte dalle elezioni regionali dimostrarci che è anche in grado di sfruttarne le virtù.