Una partita nelle mani di Bossi
Dal Veneto e dal Piemonte la Lega può sparigliare con l’Europa, ma a Roma, per il federalismo, ha bisogno di Berlusconi. E anche di Fini
E’ dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi che la politica italiana non subiva una accelerazione rispetto all’immobilismo che spesso la caratterizza.
La vittoria di due figli della Lega in Piemonte e in Veneto va infatti ben la di là di un successo regionale. E’ la vittoria di una linea politica,. Dell’ unica linea politica italiana capace di avere in se una forza centripeta in grado di aggregare fasce sociali di diversa estrazione e cultura, uomini che provengono da esperienze coltivate in ambienti a volte addirittura antagonisti.
E’ la vittoria di uomo, Umberto Bossi, che dietro la scorza rude del Masaniello lombardo ha dimostrato finora di possedere capacità di grande tessitore. Di poter contare, anche dopo una malattia debilitante, sul controllo del propri nervi. Ma soprattutto sul controllo della gente che guida. Ora lanciando a briglia i suoi colonnelli, ora tirando a se le redini con una autorità sulle sue truppe che ha eguali solo nei grandi capi storici che hanno costruito l’Italia.
Oggi Bossi potrebbe pronunciare la famosa frase di Palmiro Togliatti «veniamo da lontano e andiamo lontano».
E’ questo il punto. Molti dovranno togliersi presto dalla testa che le due regioni conquistate dalla Lega siano il punto di arrivo di Bossi. Che oggi la conquista della poltrona della Moratti a Milano sia l’unico pensiero intorno al quale la Lega si concentrerà.
Il governo del Veneto e del Piemonte, i fatti lo dimostreranno, saranno la piattaforma dalla quale partirà un nuovo modo di fare politica.
E’ quello che la gente che lo ha votato chiede al suo capo e Bossi ha dimostrato finora di non essere politico che delude le attese di chi gli ha dato la fiducia.
Ma Bossi è anche leader capace di far alzare la voce al suo esercito senza, però, lasciare mai la presa sui suoi generali.
Ora il suo compito è di gestire al meglio la vittoria in questa battaglia capitale, avendo ben in mente che l’obiettivo finale è la guerra.
Come intendere vincere anche in campo grande lo ha già dimostrato nelle prime ore del dopo partita, rassicurando innanzi tutto l’alleato Berlusconi del quale non può fare a meno se vuole raggiungere l’obiettivo finale.
Quindi è ipotizzabile che agisca su due fronti.
Dal versante regionale cercherà di sparigliare gli attuali equilibri e i rapporti che gli enti territoriali hanno sia con l’Europa sia con il governo centrale.
Sono temi sui quali avrà vita facile perché Il Palazzo è da anni praticamente assente dalla politica concreta, della quale finora si è interessato unicamente per assegnare alla sua clientela buona parte delle risorse a disposizione
A Roma invece punterà dritto come un siluro verso l’attuazione di quel federalismo fiscale che per ora vive solo sulla carta. Non si tratterà solo di attuarlo, ma di imprimergli un’identità che risenta maggiormente delle richieste della Lega.
Con Berlusconi avrà gioco facile. C’è in ballo la partita sulla giustizia e Berlusconi è troppo sensibile su questo punto per non considerarla una congrua contropartita.
Bossi quindi ha davanti a se un’autostrada.
Quello che ora si starà chiedendo è se andare avanti con il progetto originario, legato unicamente ai fulgidi destini del Nord o se valga la pena, dopo una vittoria che si è estesa a lambire le porte di Roma, allungare lo sguardo anche al resto d’Italia.
Nel primo caso, farebbe subito contenti i suoi, ma si troverebbe davanti un blocco meridionale (le vicende siciliane ne sono la prova) capeggiato molto probabilmente, dallo scranno più alto di Montecitorio, da Gianfranco Fini.
Nel secondo caso, sarebbe costretto a guardare all’insieme del podere e non solo ai filari più fruttuosi, ma potrebbe ricevere in cambio le chiavi di un paese pacificato e non lacerato da uno scontro inevitabile fra Nord e Sud.
Il laboratorio per questo esperimento c’è e si chiama Calabria, dove Giuseppe Scopelliti ha vinto per il centro destra con un’ampia maggioranza.
Bossi all’alleato calabrese lascerà solo la «paghetta della domenica», come ha promesso nei giorni scorsi l’attuale governatore del Veneto, Luca Zaia, o dall’alto del nuovo ruolo che ieri si è conquistato, prenderà in considerazione altre soluzioni?
Una cosa è certa, le risorse per fare il federalismo come lo sogna chi lo ha votato al Nord, mantenendo i vizi e le magagne della Calabria, non ci sono. E Tremonti, grande sponsor di Bossi dalla prima ora, non è disposto a raddrizzare le gambe storte del tavolo calabrese andando a debito.
Ci vuole quindi una soluzione alla Bossi.
Se il grande capo della Lega questa magia non ce l’ha nel cappello o nemmeno ci pensa, prepariamoci tutti a vedere scintille molto alte nel centro destra.
Del centro sinistra c’è da dire poco.
Basta il primo commento di Pierluigi Bersani che ha detto di essere soddisfatto perché ha visto che c’è stata una inversione di tendenza.
Il basso profilo, bisognerebbe spiegare a Bersani, non vuol dire finire in cantina.
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