19 aprile 2024
Aggiornato 15:00
La guerra dei Governatori

In Puglia laboratorio della politica sganciata dagli apparati

Intanto Vendola per ringraziare i pugliesi affigge i manifesti a Roma

Chi può dimenticare i sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello? Quei sei fantasmi in attesa di essere incarnati sono ancora l’emblema dello smarrimento che coglie chi è costretto a vagolare senza una identità.
Le nebbie che avvolgono il cammino che in primavera ci porteranno a votare per i governi regionali ci ricordano il dramma di Pirandello. Con la differenza che mentre quei sei personaggi erano alla ricerca di un’ anima, tutto il carosello che si muove intorno alla prossima scadenza elettorale ha un solo obiettivo: la conquista del potere.
Qualcuno penserà, e dove la novità?
E’ vero, in ballo c’è stato sempre, e sempre ci sarà, il potere. Eppure ora stiamo assistendo a qualcosa di diverso. Davanti a noi ci sono due Gulliver impersonati dal Pdl e il Pd, i due partiti principali che guidano gli opposti schieramenti di destra e di sinistra, assaliti da lillipuziani agguerriti che ogni giorno strappano brandelli delle vesti dei colossi impigliati nello loro reti, con l’unico scopo di essere loro stessi a ricoprire le lacerazioni prodotte con toppe che portino inciso un marchio, una firma: quella stessa di chi ha prodotto lo strappo.

Ormai i programmi elettorali dei partiti in lizza per le regionali sono diventati «griffe»: l’unica cosa che conta è la firma che li identifica.
Il laboratorio, dove questa trasformazione del potere in «potere allo stato puro» avviene a cielo aperto, si chiama Puglia.
Naturalmente gli elementi chimici adottati per produrre la sintesi del «potere allo stato puro» sono diversi.
Nel Partito Democratico il solvente che va per la maggiore sono le primarie. L’importante è vincere le primarie. Se poi si perderanno le elezioni, quelle vere, è del tutto secondario.
La prova se ne è avuta nei giorni scorsi a Roma, dove senza apparente giustificazione Vichi Vendola ha tappezzato la città con manifesti i cui è scritto :»Grazie Puglia».
Che senso ha, ci si potrebbe ingenuamente chiedere, ringraziare pubblicamente i pugliesi dai manifesti esposti nella Capitale? E invece il senso c’è: se il grande obiettivo dei candidati della sinistra è battere l’avversario della propria squadra, allora l’esito di quello scontro va comunicato principalmente a Roma, dove si fanno e disfanno i giochi di questo genere di politica.
Forse sarebbe bene ricordare al popolo del Pd che le primarie non nascono come arena per il regolamento dei conti in famiglia, bensì come luogo dove chiunque può presentarsi all’elettorato della propria parte per candidarsi alla leadership. Nel caso di Vendola non abbiamo assistito alla vittoria di un outsider, ma del rappresentante di un apparato periferico che ha sconfitto il candidato di un apparato centrale.

Passiamo all’altro versante, quello del Pdl. Il Popolo della libertà, non sapendo che pesci prendere per il controllo del laboratorio pugliese, come degli altri laboratori sparsi per l’Italia, si è affidata completamente a quello che resta il miglior chimico in giro per il Paese, cioè a Silvio Berlusconi.
Vedremo nelle prossime ore come si risolverà la vicenda della candidatura pugliese. Intanto si può registrare che anche per il chimico massimo del Pdl la strada per la Puglia si sta dimostrando impervia. Infatti il primo gesto prodotto dal suo intervento è stato quello di bocciare il candidato già scodellato dal suo partito.
Infine c’è l’Udc. Il terzo incomodo della politica dei due, dei tre, se necessario dei quattro forni.
Casini è diventato come Bertolaso: dove c’è qualcuno che sta per affogare arriva lui con la ciambella di salvataggio. In Puglia, a sinistra ci si vuole suicidare con le primarie e quindi si rifiuta la sua ciambella? Non fa niente, i suoi voti sono sempre buoni per essere offerti al naufrago della sponda opposta.
Poiché non siamo l’unico Paese federato sarebbe interessante sapere se questa forma del «bianco o nero per me pari sono» è praticata anche altrove.
Per concludere ci poniamo questa domanda: ma perché è diventato così importante vincere le elezioni regionali, far diventare governatore il proprio candidato? Se l’obiettivo è quello di ottenere una vittoria politica, allora non si spiega come mai il successo schiacciante della sinistra nelle ultime regionali, e il conseguente potere acquisito nelle regioni governate dai suoi uomini, non abbia impedito al Pd di subire una batosta nelle successive tornate elettorali.
Evidentemente il «potere allo stato puro», sganciato dagli interessi nazionali, consente il raggiungimento di scopi e traguardi anche superiori di quelli alla portata della politica comune.