Il premier riaccende polemica su indipendenza Ue
L'Europarlamento potrebbe ora chiedera più garanzie a Barroso
BRUXELLES - Silvio Berlusconi ha riacceso oggi, parlando ai cronisti a Danzica durante le commemorazioni dell'inizio della seconda guerra mondiale, una ricorrente polemica contro le dichiarazioni dei membri della Commissione europea e dei suoi portavoce che rischiano di mettere in imbarazzo i governi degli Stati membri, e di fornire così alle opposizioni armi e pretesti, o comunque appigli da strumentalizzare, per attaccare gli esecutivi.
I portavoce e gli stessi commissari, ha detto il premier italiano, non dovranno più intervenire pubblicamente su «alcun tema», e la Commissione dovrà parlare solo per bocca del suo presidente o del portavoce di quest'ultimo, altrimenti l'Italia «bloccherà di fatto il funzionamento del Consiglio europeo», non partecipando più al voto. Il problema, ha aggiunto Berlusconi, sarà da lui portato sul tavolo del prossimo vertice dei capi di Stato e di Governo. Infine, il premier ha annunciato la sua intenzione di chiedere «che commissari e portavoce che continuino nell'andazzo di tutti questi anni (cioè che continuino a parlare pubblicamente, ndr) vengano dimissionati in maniera definitiva».
Il caso, questa volta, è stato scatenato dall'annuncio dato ieri da un portavoce, Dennis Abbott, su una richiesta di informazioni della Commissione all'Italia e a Malta per il recente caso del respingimento verso la Libia di 70 clandestini fermati in mare. Ha dato fastidio al premier, evidentemente, anche il semplice richiamo a una lettera di un mese e mezzo fa, scritta dal commissario Ue alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot, in cui si denunciava il respingimento dei clandestini senza prima accertare se tra loro vi siano persone titolate a chiedere la protezione internazionale o lo status di rifugiati.
Dopo gli attacchi a Bruxelles, le risposte diplomatiche finora fornite dal portavoce capo della Commissione, Johannes Laitenberger, che vuole soprattutto evitare di essere strumentalizzato nelle polemiche della politica interna italiana, sono state giudicate soddisfacenti da Palazzo Chigi, soprattutto laddove negano che la richiesta di informazioni all'Italia equivalga a un richiamo o a una critica.
Potrebbe finire tutto lì, come è già successo nei casi precedenti (almeno tre nell'ultimo anno e mezzo), in cui Berlusconi non ha poi dato seguito alle sue minacce; che però non erano mai giunte al punto di prospettare né le dimissioni forzate di commissari e portavoce (che andrebbe contro il principio, sancito dai Trattati Ue, di indipendenza dai governi della Commissione), né tantomeno il blocco del Consiglio europeo, un'enormità, che si si è verificato solo in due occasioni in passato: negli anni '60, a opera del presidente francese Charles De Gaulle (crisi 'della sedia vuota'), e a metà degli anni '90, con la crisi della 'Mucca pazza', come protesta dei britannici per l'embargo Ue sulle loro esportazioni di carne bovina.
Questa volta, tuttavia, c'è un elemento in più che potrebbe contribuire a rinfocolare la polemica: il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, la settimana prossima dovrà passare le forche caudine del dibattito con i gruppi politici dell'Europarlamento, per convincerli ad approvare la sua designazione per un secondo mandato. E non è difficile immaginare che una delle richieste che gli faranno gli eurodeputati sarà quella di difendere l'indipendenza dell'Esecutivo comunitario in modo ben più energico di quanto abbia potuto fare il suo portavoce. A conferma di ciò, stasera il capogruppo dei Socialisti e Democratici (S&d), Martin Schulz, ha emesso una nota durissima in cui chiede a Barroso, alla presidenza di turno svedese dell'Ue e a tutti gli altri gruppi europarlamentari «a cominciare dal Ppe», di «reagire immediatamente e in prima persona contro questo inaudito attacco alle istituzioni europee».
Barroso, che ha bisogno anche dell'appoggio dei governi per essere riconfermato, non è ancora intervenuto in questa nuova polemica, ma una risposta a Berlusconi, franca e diretta, l'aveva già data in un'altra occasione, il 20 giugno 2008, dopo un altro attacco del premier italiano ai commissari e portavoce che 'parlano troppo': «La Commissione europea - aveva detto durante la conferenza stampa conclusiva del vertice Ue - è un'istituzione indipendente e risponde democraticamente al Parlamento europeo; non siamo il segretariato dei governi». E aveva aggiunto: «L'opinione pubblica deve essere informata delle posizioni della Commissione, che è un'autorità indipendente, non ha bisogno dell'autorizzazione degli Stati membri per esprimersi, e non l'avrà mai. La Commissione è guardiana dei Trattati e deve far rispettare il diritto comunitario. Noi commissari - aveva sottolineato ancora Barroso - facciamo giuramento di indipendenza, in particolare dagli interessi di ogni Stato membro, incluso il nostro paese, e questo è l'aspetto più originale della costruzione europea, rispetto agli altri organismi internazionali». Il presidente dell'Esecutivo comunitario aveva concluso con un impegno solenne, che oggi l'Europarlamento potrebbe ricordargli: «La Commissione europea è indipendente dai governi, deve restarlo e vi garantisco che tale resterà».