23 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Inchiesta Why Not

«Chiedo di essere interrogato»

Conferenza stampa del presidente Loiero su l'inchiesta Why not

«Ieri l’Arma dei carabinieri mi ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini relativa all’inchiesta di Why not. Il tempo di dare una scorsa all’ordinanza ed ho provato una sofferenza indicibile. Ma non è per parlarvi della mia sofferenza che vi ho convocato a qualche ora dal Natale. So bene che facendo il mestiere che faccio, i sentimenti, bisogna spesso saperli reprimere.

Veniamo dunque al motivo del nostro incontro. I capi d’imputazione che vengono posti a mio carico sono tanti e di una certa rilevanza penale. In pratica quasi tutto quello che l’accusa ipotizza in questa inchiesta come reati sembrerebbero essere stati commessi, a partire dal 2005, da tanti soggetti politici ma quasi tutti in associazione con me. Naturalmente non mi ritrovo – neanche in astratto – in nessuno – dico in nessuno – di questi reati. Anche se la cosa mi procura una ferita e nel silenzio della mia coscienza la vivo come un oltraggio, non ho alcuna intenzione di difendermi dalle accuse in una conferenza-stampa. E mi dispiace pure che tutto quello che mi sta capitando avvenga a ridosso del Santo Natale, una festa che non rinvia a un contesto di lotta in cui ci si attacca e ci si difende, ma piuttosto al clima rarefatto della pace e della speranza. Non intendo dunque difendermi in questa sede inadeguata e in questa giornata. Non l’ho mai fatto perché la mia regola è che dalle accuse dei magistrati ci si difende nei processi. L’insegnamento che ho ricevuto dalla mia modesta famiglia, prima che dalla scuola e dagli studi, è quello di un rispetto sacrale per le leggi e i giudici terzi, ma anche per i magistrati dell’accusa che in un territorio come il nostro spesso rischiano la propria pelle. Il Presidente Cossiga spesso mi ricorda che tale atteggiamento è sbagliato ma fino ad oggi, pur stimandolo molto, non è riuscito a convincermi a cambiare parere. Rilevo – e mi fermo qui – una cosa sola: neanche De Magistris che pure, come afferma una decisione del CSM che assume valore di sentenza, appariva un magistrato disinvolto nell’ interpretazione dell’accusa, aveva osato tanto nei miei confronti. Ricordo brevemente cosa mi era capitato nell’inchiesta sulla sanità da lui condotta. Fui invitato come persona informata dei fatti di sabato al Palazzo di giustizia, dove mi furono poste varie domande a cui diedi ogni esauriente risposta. Ciò nonostante nella domenica successiva lo stesso Pm mi fece recapitare un avviso di garanzia. Ebbe quindi luogo un interrogatorio, prontamente fatto veicolare ai giornali, e dopo un calvario durato circa due anni in cui una certa stampa non esitò a ricordarmi la mia situazione di indagato, non si presentò a sostenere l’accusa davanti al Gup facendosi sostituire da un altro Pm. Il quale chiese il mio proscioglimento accolto dal Gup. E non è tutto. Nello stesso processo ed in altra udienza per le stesse accuse il De Magistris chiese la condanna del mio capo di gabinetto, Michele Lanzo, il quale fu assolto dal giudice in forma evidentemente cosi convicente che il De Magistris non produsse alcun appello.

Accetto dunque anche in questo caso che, mio malgrado, come ormai capita nella via italiana alla giustizia, un vero e proprio processo si celebri nella fase delle indagini preliminari sui mezzi di comunicazione di massa. E’ un metodo barbarico a cui, speriamo, una riforma equilibrata della giustizia possa presto porre termine. Sarà anche per tale motivo che in questi giorni sento una grande nostalgia del Parlamento, criticato quanto si vuole da parte dell’opinione pubblica, ma pur sempre un luogo in cui si discutono diritti di libertà. Essendo però Presidente di una Regione che i media sbattono spesso in prima pagina per fatti poco edificanti e trovandoci alla vigilia del viaggio in Calabria del Capo dello Stato, che io stesso ho invitato, fin dalla prima visita al Quirinale, non vorrei restare segnato da accuse infamanti sulla stampa per chissà quanto tempo. In una fase storica peraltro in cui monta a livello nazionale una questione morale.

Chiedo dunque al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello e ai magistrati dell’accusa che indagano su questi fatti di essere immediatamente interrogato. Lo chiedo con tutto il garbo ed il rispetto che si deve ad un altro potere dello Stato. In una precedente dichiarazione avevo già affermato che, presa coscienza degli addebiti e degli atti d’indagine e consultati i miei avvocati, mi sarei sottoposto ad interrogatorio. Non essendo però in grado di consultare in breve tempo i 140 faldoni che riguardano l’inchiesta Why not, vi rinuncio, convinto come sono che nessuna delle migliaia e migliaia di carte può contenere un’accusa da cui non sia in grado di difendermi. Mi si dia subito la possibilità di dimostrare la mia innocenza. Siccome sono sempre stato un cittadino rispettoso delle leggi della Repubblica e svolgo un ruolo istituzionale che mi espone molto ed espone soprattutto la Regione che rappresento, chiedo con tutta la forza di cui sono capace di essere interrogato immediatamente».