5 maggio 2024
Aggiornato 10:00
«Dimostrazione tangibile del controllo del territorio da parte dello Stato»

«I beni confiscati alla mafia rimangano in Sicilia. Pronto ddl voto»

Lo dichiara l’assessore regionale alla Presidenza, Giovanni Iarda, dopo essere stato ascoltato stamani sull’argomento dalla III commissione dell’Ars

- «I beni confiscati alla mafia devono restare in Sicilia come ristoro del danno che la stessa Sicilia ha subito e subisce a causa della criminalità e come dimostrazione tangibile del controllo del territorio da parte dello Stato».
Lo dichiara l’assessore regionale alla Presidenza, Giovanni Iarda, dopo essere stato ascoltato stamani sull’argomento dalla III commissione dell’Ars.
«Di concerto con il Presidente della Regione - dice Ilarda - ho già predisposto un disegno di legge voto da presentare al più presto all’Assemblea regionale siciliana allo scopo di invitare i due rami del Parlamento alla modifica della legge Rognoni-La Torre».

La legge voto è una prerogativa dello Statuto autonomistico Speciale della Regione siciliana (art.18), attraverso la quale il Parlamento regionale chiede ai due rami del Parlamento nazionale di approvare o modificare una legge statale.
La normativa vigente (legge 575 del 31 maggio 1965 nota come Rognoni-La Torre) prevede che i beni confiscati per reati di mafia siano devoluti allo Stato. Per i soli beni immobili si stabilisce che gli stessi possano essere mantenuti al patrimonio dello Stato, ovvero trasferiti al patrimonio del Comune ove l’immobile è sito o, ancora, al patrimonio della Provincia o della Regione.

Nella relazione che accompagna il disegno di legge voto sono riportate anche le considerazioni della Commissione Parlamentare Antimafia che, appena un anno fa (seduta del 27 novembre 2007), nel riconoscere gli enormi meriti della legge che ha introdotto l’uso a fini sociali di questi beni, ribadiva un concetto essenziale: «Se l'azione antimafia dello Stato si limita esclusivamente al momento repressivo, essa può apparire contraria allo sviluppo dei territori: il palazzo del mafioso che accoglie uffici pubblici, in sostanza, dà un segnale positivo che si aggiunge a quello di avere assicurato alla giustizia il mafioso; segnala la restituzione alla collettività di ciò che la criminalità aveva sottratto ad essa».

«A fronte delle puntuali affermazioni della Commissione Antimafia - dichiara Ilarda - le disposizioni vigenti risultano, però, assolutamente inadeguate al raggiungimento dello scopo. Attualmente, infatti, beneficiario immediato dei provvedimenti di confisca degli immobili non è il contesto delle collettività locali direttamente danneggiate dal fenomeno criminale, ma lo Stato, salvo il successivo (e solo eventuale) trasferimento di alcuni immobili ai Comuni, alle Province ed alle Regioni».
«Disposizioni che oggi appaiono più che mai superate - continua Ilarda - nel quadro di un assetto federalista dello Stato. Occorre, dunque, una rivisitazione della norma sulla confisca e l’uso dei beni mafiosi che risulti ispirata ad un chiaro e diverso principio regolatore della materia, quello secondo il quale i beni confiscati o le risorse derivanti da questi, qualunque sia la loro natura (beni immobili, mobili, crediti, aziende, partecipazioni sociali ecc.) devono essere assegnati in via prioritaria e prevalente alla Regione nella quale è stata realizzata la condotta criminosa».

«La normativa attuale non va - continua Ilarda - basti pensare al paradosso per il quale alla Regione siciliana è stato richiesto il pagamento di un canone di affitto di oltre 3 milioni di euro l’anno per due immobili confiscati e usati come uffici regionali. I beni che la mafia aveva sottratto con le attività criminose all’economia legale della Sicilia devono restare in Sicilia. Non è accettabile il contrario».
«La nuova norma - conclude l’assessore alla Presidenza - dovrà, dunque, sancire il principio dell’assegnazione di questi beni prioritariamente alle comunità locali quale ristoro del danno subito ad opera delle organizzazioni mafiose e come strategia di contrasto alla criminalità, al fine di dare forte il segnale di controllo di quel territorio da parte dello Stato».