28 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Cindia. Ovvero Cina e India

Cindia, il nuovo mondo e le sfide globali

Federico Rampini alla Scuola Estiva del PD

Cindia. Ovvero Cina e India. Ovvero i due giganti asiatici che stanno conquistando il mondo. Al teatro Signorelli di Cortona si è tenuto il primo atto del modulo «Un mondo multipolare», il focus sui nuovi equilibri globali che fa parte del programma della Scuola Estiva di politica del Partito Democratico. Ne ha parlato Ne ha parlato il corrispondente da Pechino del quotidiano «La Repubblica», Federico Rmapini. Un’analisi schietta e impietosa sul declino dell’Occidente inteso come unico polo detentore della potenza economica e militare mondiale e su quella che oramai non può più essere definita come un’ascesa inarrestabile, ma come una realtà consolidata, e cioè l’affermazione su scala mondiale di nuove e sempre più varie «superpotenze».

Le aree del mondo dove avvengono trasformazioni storiche, che disegnano i contorni del XXI secolo e ci influenzeranno durevolmente sono i laboratori del futuro, eppure gli italiani li conoscono poco. Abbondano ancora i pregiudizi, gli stereotipi, le rappresentazioni superate. Viviamo nell’epoca del più grande spostamento dei confini tra ricchezza e povertà. Metà del pianeta, in quell’emisfero Sud dove ancora è diffusa la miseria, guarda con speranza e ammirazione al decollo di Cina e India, i due giganti asiatici che hanno conquistato un nuovo benessere per centinaia di milioni di persone.
Cina, India, ma non solo loro. Sembrano passati secoli ma meno di dieci anni fa si guardava con diffidenza a quegli studiosi che dicevano che il reddito prodotto dal BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) avrebbe finito per costituire, entro fine decennio, il 10% del Pil mondiale.

Uno scenario che non solo si sta puntualmente materializzando ma che è stato brutalmente superato dalla realtà. Il BRIC e i suoi satelliti, infatti, alla fine del 2007, già costituiscono il 30% della ricchezza globale. Tutte le classifiche di ricchezza e sviluppo, anche quelle più simboliche come il cinema o il grattecelo più alto al mondo, fino a dice anni fa erano dominate dagli Stati Uniti. Oggi non è così e si stima inoltre che delle venticinque multinazionali che nei prossimi anni cresceranno di più nessuna sarà americana o europea.
In questo quadro, l’Asia si sta sempre più delineando come baricentro dell’economia mondiale. Nel 2030 la ricchezza del continente giallo costituirà il 53% di quella mondiale, mentre a Stati Uniti ed Europa rimarrà solo il 33%. La prima potenza mondiale sarà indiscutibilmente la Cina, seguita dagli Usa e dall’Unione europea, cui l’India insidierà concretamente la terza posizione. Ciononostante, il reddito medio pro-capite di un cittadino cinese o indiano rimarrà pari a solo un terzo di quello di un cittadino occidentale. Secondo Rampini, la lettura di questo dato è importante per spigare come le ripercussioni dei bassi salari sul desiderio di crescita, anche personale, costituiscano un fattore di dinamismo inesauribile per questi paesi.

Secondo il giornalista, ciò che sta avvenendo, d’altronde, è giusto e naturale. Giusto perché Cina e India sono grandi paese con miliardi di abitanti che beneficeranno del benessere ritrovato, e naturale perché per secoli, nella storia, proprio Cina e India hanno costituito la parte più evoluta del pianeta. Sostanzialmente, dunque, si sta chiudendo una parentesi durata solo alcuni secoli in cui la razza bianca ha dettato legge nel mondo. Tutti stiamo perdendo la nostra sovranità e siamo sempre meno padroni del nostro destino. Si calcola che i cittadini degli Stati Uniti diano più soldi al resto del mondo (sotto forma di importazioni) che al proprio governo (sotto forma di imposizione fiscale).

L’organizzazione del commercio mondiale (il WTO, che negli anni’d’oro tra la fine della guerra fredda e lo choc terroristico dell’11 settembre 2001, il presidente Clinton ha allargato alle nuove potenze mondiali nell’ottica di una concezione positiva e virtuosa della globalizzazione) è ora sottoposta ai veti di Cina e India, come il fallimento del Doha round ha palesemente dimostrato. Una cosa che fino a qualche anno fa non si poteva neppure immaginare.

Davnti a tutto ciò, un altro pezzo del mondo – e in questo senso soprattutto il continente europeo – è percorso invece da paure e catastrofismi. L’Occidente tormentato dall’incubo del proprio declino sembra dimenticare che la supremazia dell’uomo bianco, vista nell’arco intero della storia umana, è un episodio recente e breve, un’eccezione. Cina e India stanno semplicemente tornando a occupare il loro posto naturale. Sono le due civiltà più antiche e per millenni furono le più ricche, le più avanzate dal punto di vista culturale, scientifico e tecnologico, economico e militare. Ancora tre secoli fa, all’alba della Rivoluzione industriale inglese, i due terzi del Prodotto interno lordo mondiale venivano da quell’area del mondo. La repentina decadenza di Cina e India nell’epoca degli imperialismi europei è un capitolo che si è chiuso sotto gli occhi della nostra generazione. Il centro del mondo si sposta di nuovo verso di loro.

E l’Europa, in particolare l’Italia, deve stare ben attenta a non sbagliare epoca e a parlare anacronisticamente di protezionismo quando le condizioni storiche impongono invece un altro approccio. Come insegna la Germania, che ha già consolidato i rapporti con la Cina, evitando tra l’altro di seguire la via dei bassi salari del saccheggio sistematico delle risorse naturali. Così come, l’Europa non può e non deve rinunciare al ruolo di modello di civiltà che può ancora essere da esempio per paesi dove la crescita economica non porta con sé nessuna corrispettiva crescita democratica. Da noi i cardini di civiltà hanno fatto sì che gli ordinamenti giuridici sostituissero le armi. Solo quando ci crederemo fino in fondo torneremo ad esportare il nostro modello nel mondo.

Stefano Cagelli