28 agosto 2025
Aggiornato 11:00
Il futuro del Partito Democratico

Piero Fassino: «No a logiche da vecchio partito. Giù le mani dal modello Torino»

Intervista di Vera Schiavazzi - Il Corriere della Sera

Attaccare Sergio Chiamparino è incomprensibile, strumentale, autolesionista.
Meglio sarebbe valorizzare i risultati raggiunti e un «modello Torino » che può continuare la sua corsa ma potrebbe anche incepparsi in mancanza della strategia politica necessaria a sostenerlo.

Piero Fassino, l'ultimo segretario dei Ds, il ministro degli Esteri del governo ombra, è anche e forse prima di tutto l'uomo politico italiano più legato alla città-fabbrica dove è cresciuto. «Non posso non mettere passione quando ne parlo, perché è di lì che vengo e perché più volte Torino è stato un caso esemplare. L'interesse personale non c'entra nulla», premette, liquidando così le voci che lo vorrebbero già candidato a sindaco per il 2011. Ma è difficile, sentendolo intervenire sulle polemiche di questi giorni, non cogliere un'idea di città, un progetto per il futuro che potrebbero farne uno tra i nomi più probabili, soprattutto nell'attuale scenario nazionale.

Fassino, perché Chiamparino e la sua amministrazione sono così importanti per il Pd e mobilitano segretari e leader nazionali?
«Chiamparino non è solo un bravo sindaco, come tutti gli riconoscono a cominciare dai cittadini. È uno dei protagonisti dell'operazione di cambiamento che a Torino, con lui segretario del Pds, nel 1993 anticipò di due anni la nascita dell'Ulivo eleggendo Valentino Castellani a Palazzo Civico. Con quella scelta, che non fu indolore per il partito, si unirono le forze di diverse culture riformiste nella migliore tradizione di una città complessa, quella di Gramsci ma anche del beato Cafasso, di Gobetti e di Frassati, di Angelo Tasca, Vittorio Foa e Norberto Bobbio. Scelte come questa, così come i risultati raggiunti nel governo della città, sono un patrimonio di tutto il Pd, compresi quelli che oggi polemizzano, e attaccare il sindaco sulla spinta di qualche piccolo scontro sulle nomine appare francamente incomprensibile ».

C'è il rischio che il giocattolo si rompa, che il «modello Torino» si incrini?
«Mi auguro di no. Ma non dobbiamo dare nulla per scontato. Oggi giriamo per la città, la troviamo bellissima, siamo contenti di sapere che ha un Politecnico all'avanguardia o una vivacissima vita culturale. Ci pare ovvio, ma non lo è. Dal 1980 a oggi Torino ha dovuto cambiare pelle, superando crisi durissime e continuando a trasformarsi, e deve continuare ».

Nel 1980 c'era anche lei alla guida del Pci torinese...
«Sì, e fu l'anno dello choc, della grande crisi alla Fiat che fino a quel momento aveva garantito gli equilibri della città. Solo allora si capì che la fabbrica poteva anche tornare indietro, licenziare, rimpicciolirsi. E che occorreva un patto tra produttori, tra lavoratori e impresa, ma anche che Torino non poteva continuare a reggersi su un'unica vocazione. La città ha cominciato allora a ripensarsi, a percorrere strade nuove. L'indotto auto si è messo a lavorare per giapponesi, tedeschi, americani, ma non bastava ancora.
Ci si è dovuti inventare altro, dal Salone del Libro a quello del Gusto, dal nuovo Egizio al Museo del Cinema e, su tutto, la grande metafora delle Olimpiadi. Intanto, la Fiat di Marchionne ha ottenuto risultati importanti e non effimeri, e i presupposti perché possa continuare appaiono molto migliori di dieci anni fa. Sullo sfondo c'è il 2011: gli anniversari dell'Unità d'Italia, dal 1911 al 1961, sono già stati importanti per cambiare questa città».

Perché, allora, si parla d'altro e si litiga sul sindaco «autoritario»?
«Perché nonostante l'affermazione che occorre maggiore autonomia per chi amministra i comportamenti di molti, nei partiti, non sono ancora cambiati. Se ci fosse un dibattito o anche uno scontro sul futuro della città lo capirei, ma se la ruggine nasce da qualche nomina bancaria dico che non è materia d'intervento di un partito. Se poi ci si vuole posizionare in vista dei prossimi tre anni di elezioni, ricordo che non si può piegare la politica di un partito solo alle proprie ambizioni. Al 2011 manca ancora tanto tempo, e per scegliere il candidato faremo le primarie come abbiamo deciso nelle regole del Pd».

Se nel frattempo le correnti non avranno strangolato il partito...
«Non credo, non dobbiamo avere paura dei gruppi che si organizzano, a condizione che ciò avvenga su posizioni politiche vere. Quanto alla salute del Pd, si tratta di un bambino che da poco si è deciso di far nascere. Tra un po' camminerà da solo e a mano a mano si formerà una personalità autonoma».