19 aprile 2024
Aggiornato 02:00
criptomonete

Chi mi dice quanto valgono i miei Bitcoin? (valgono davvero?)

Chi o cosa mi dice che quella sequenza di numeri e lettere che devo gelosamente custodire vale esattamente quell'ammontare di soldi?

Chi mi dice quanto valgono i miei Bitcoin?
Chi mi dice quanto valgono i miei Bitcoin? Foto: Shutterstock

MILANO - Esperti, influencer e consulenti. Agenzie di trading, annunci lampeggianti che si aprono in finestre nascoste con promesse di guadagni da sceicchi. Ormai non ne sono esenti nemmeno i magazine cartacei: basta sfogliare una rivista sulla compagnia Easyjet per ritrovarsi inondati da migliaia di proposte di exchange e wallet. Si, stiamo parlando ancora di criptomonete, bolla o futuro non importa. La riflessione la facciamo su un punto abbastanza cruciale, su cui in pochi si sono fermati a ragionare. Noi ci proviamo partendo dalla semplice ma giustificata domanda: chi o cosa mi dice che quella sequenza di numeri e lettere che devo gelosamente custodire vale esattamente quell'ammontare di soldi?

Se ho una banconota da 5 euro, di certo non posso farla valere 50 euro in un negozio, in una compravendita o quando do la paghetta a mio figlio, nemmeno disegnandoci uno zero di fianco. Però dare valore a 5 euro è facile: sono universalmente riconosciuti, hanno delle caratteristiche intrinseche che gli attribuiscono quel valore imposto da un organismo centrale e hanno anche caratteristiche fisiche che fanno in modo che tutti possiamo riconoscerlo: filigrana, colori, materiale ecc.

E’ probabile che questo punto vi starete facendo qualche domanda anche sui vostri soldi che avete scambiato su Bitcoin Era, Coinbase per i primi Bitcoin (o magari Ether). E non si sa mai che vi facciate convincere a metterli in qualche ICO, magari suggerita al bar del co-working. Vi starete chiedendo: «Già, chi è che da valore a quel codice? I miners? La blockchain?»

Il valore, di per sè, collegato alle FIAT, viene semplicemente dato dal mercato, chiaramente. Il mercato formato da chi acquista e chi vende. Chi vende decide a un certo punto di cedere la propria key a qualcuno altro che è disposto a comprarla, a tutti gli effetti, per un effettivo ammontare di denaro. Questo passaggio è semplice e basilare: se dico che una cosa vale 10 euro e qualcuno me li dà, quella cosa vale chiaramente 10 euro, almeno per una persona. La vera domanda che dovreste farvi è: ma quella cosa, nel caso specifico la key che rappresenta l'attribuzione di un certo ammontare di moneta virtuale al suo possesso, chi dice che vale?

Per dimostrare che quella sequenza di numeri e lettere vale davvero qualcosa ci deve essere qualcuno che convalidi i calcoli che hanno dimostrato/dimostrano che quei numeri identificano quella transazione e giustificano quel valore. Dietro questo concetto si basa tutto il valore, attribuito ovviamente dal mercato, dietro le criptomonete.

Esistono diversi modi di verifica che identificano la correttezza di tali transazioni e il più conosciuto e utilizzato è il Proof of Work, il sistema di validazione di Bitcoin, che funziona tramite uno smisurato «lavoro» di calcolo che alla fine non fa altro che comprovare che una serie di caratteri siano la corretta sequenza a cui attribuire quel valore. Questo tipo di «prova» è largamente utilizzato perché reputato molto sicuro e corretto, ma ha ovviamente dei risvolti negativi, uno su tutti il dispendio enorme di energia, che lo rendono debole per due principali ragioni: se qualcosa è eccessivamente «energivora» non è sostenibile sul lungo periodo in un pianeta con risorse limitate e se qualcosa è eccessivamente «energivora» ne accentra il comando sul breve periodo perché ovviamente cade nelle grinfie di chi in quel momento possiede più energia o la possiede al minor costo (che poi è la stessa cosa). Questi due problemi fanno cadere il core principale su cui è nato Bitcoin o le criptomonete in generale, cioè quello di decentrare il possesso della ricchezza.

Un altro metodo alternativo al Proof of Work è il Proof of Stake. La Proof of Stake (PoS) è una delle categorie di algoritmi utilizzate per la prova del consenso su una blockchain basata sulla partecipazione economica di un validatore nella rete, a differenza della Proof of Work (PoW) basato sul concetto del «lavoro» come elemento di validazione (ad esempio Bitcoin e l'attuale implementazione di Ethereum). Nelle blockchian basate su PoS (ad esempio l'imminente implementazione di Casper di Ethereum), un gruppo di validatori propone e vota a turno il blocco successivo a quello attuale, con un peso di voto assegnato a ogni validatore in base alla dimensione del suo deposito (cioè la quota di partecipazione sulla blockchain). In parole povere, per capire chi andrà a minare il blocco successivo non ci si basa sulla velocità con cui viene calcolata la «correttezza» della validazione delle transazioni, ma si «postano» delle vere e proprie scommesse su dei blocchi. Il blocco che riceve più «scommesse» viene rimesso in gioco alle persone che ci avevano puntato prima, esse punteranno di nuovo su quel blocco e avranno una possibilità di essere scelti casualmente dall'algoritmo su cui si basa quella moneta in proporzione alla quota di «moneta» che hanno puntato.

Alla fine del 2015, il Bitfury Group ha pubblicato un white paper in cui spiegava le differenze tra PoW e PoS, e i fattori che avrebbero distrutto la nascente versione di PoS. Affermando: «Attualmente, ci sono diverse valute digitali che implementano una qualche forma di Proof of Stake inclusi Peercoin, Nxt, Novacoin, BlackCoin e BitShares. Tuttavia, la semplice Proof of Stake è soggetta a eccessive minacce che ne minano la sicurezza, che al contrario non intaccano i sistemi basati sulla Proof of Work (incluso Bitcoin). Questi problemi sono insiti proprio nell'algoritmo stesso su cui vengono basati tali sistemi, in quanto Proof of Stake non è ancorata al mondo fisico."

Le principali critiche alla Proof-of-Stake si concentrano sul fatto che non sia un'opzione ideale per costruire un protocollo di consenso distribuito. Il problema più grande rimane quello del cosiddetto «nothing at stake» (nessuna posta in gioco). Significa che nel caso di una ramificazione della blockchain (o qualsiasi altro tipo di disaccordo nel consenso), una persona può «votare» per entrambe le varianti, perché ha delle poste in gioco in ciascuna delle varianti. Sarebbe come imporre una «sure bet» su due scelte dicotomiche che porterebbero comunque ad una vincita perché la vittoria di una delle due copre anche l'investimento sull'altra.

Diventa molto importante discutere di questo aspetto adesso perché l'imminente, possibile, ICO di Telegram avrà una validazione dei blocchi basati sulla Proof of Stake e quindi dovrebbe essere fondamentale riuscire a comprenderne i meccanismi. Sicuramente il problema di Nothing at Stake è superabile imponendo limitazione magari al numero di blocchi successivi minabili, ma questo ritarderebbe soltanto un'altra critica a tale sistema di validazione che è quello di «Rich get Richer». Avendo a disposizione anche solo una moneta in più dei miei «concorrenti» andrei a scommettere su un blocco, facendo ricadere la scelta del blocco minabile su quello da me prescelto, per poi andare ad avere maggiori possibilità di essere «prescelto» dall'assegnazione randomica successiva delle fee, quindi chi ha più soldi andrebbe ad aumentare in modo esponenziale il suo patrimonio.

Essendo il mondo delle criptovalute ancora in totale evoluzione è difficile capire quale sia il miglior sistema di validazione, come al solito però la cosa più importante è informarsi e capire; il mercato penserà al resto.