27 agosto 2025
Aggiornato 18:00
Terrorismo

Perché il terrorismo islamico non ha ancora colpito l'Italia? Tutte le spiegazioni plausibili

Perché il terrorismo islamico non ha ancora colpito l'Italia? E' la domanda che tutti ci poniamo in queste ore, e a cui esperti e intellettuali cercano di dare una risposta. Tra verità, ipotesi e luoghi comuni, ecco tutto ciò che c'è da sapere in materia

Secondo SITE l'Italia sarebbe il prossimo obiettivo dei terroristi islamici
Secondo SITE l'Italia sarebbe il prossimo obiettivo dei terroristi islamici Foto: ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI ANSA

ROMA - La paura cresce. La si percepisce per le strade, mentre si cammina; è un sentimento quasi palpabile, perché, per quanto si cerchi di non lasciarsi influenzare troppo, è ormai chiaro che nessuno è esente dal pericolo. Il terrorismo colpisce quando e dove meno ce lo si aspetta, quando la guardia è più abbassata, con mezzi comuni che si trasformano in armi di distruzione di massa. Lo abbiamo visto a Barcellona, lungo l'allegra e brulicante Rambla, trasformatasi nel giro di pochi secondi in un girone infernale. E ora che tutti i principali Paesi europei, almeno una volta, sono stati colpiti dal terrore, il mondo intero sembra domandarsi perché l'Italia, fino ad oggi, sia stata risparmiata. Fortuna? Abilità? Contingenze? E' una domanda a cui non si può fornire una risposta univoca. Ma sono molti gli esperti e gli intellettuali che hanno provato a ipotizzare il motivo per cui il Belpaese, per ora (e speriamo per sempre), sia stato risparmiato dal terrorismo islamico, nonostante le tante minacce dell'Isis rivolte alla «terra degli infedeli» per eccellenza.

Un'esperienza maturata negli anni delle stragi
La prima, più inflazionata, spiegazione, riguarda l'efficienza dei nostri servizi e delle nostre forze di polizia, allenate dagli anni delle stragi e dalla lotta alla mafia. Una tesi sostenuta dal quotidiano britannico Guardian, che di recente ha dedicato un approfondimento alla questione. Il Guardian ha sottolineato come siano evidenti le «differenze tra come i sospettati di terrorismo sono trattati in Italia e nel Regno Unito». Lo si può vedere, sostiene il giornale, nel caso di Youssef Zaghba, italiano nato in Marocco nonché uno dei tre terroristi dietro all'attacco del London Bridge. Secondo la testimonianza della madre, in Italia Youssef era sotto stretta sorveglianza: «All’aeroporto gli parlavano. Poi, durante la sua permanenza, i funzionari di polizia venivano un paio di volte al giorno a controllarlo», ha raccontato Valeria Collina, in un’intervista al Guardian. «Erano amichevoli con Youssef. Gli dicevano: ‘Ehi figliolo, dimmi cos’hai fatto. Che cosa stai facendo adesso? Come stai?’». Londra, invece, ha ignorato ogni avvertimento italiano sul fatto che quel ragazzo potesse costituire una minaccia. Franco Gabrielli, capo della polizia, si è espresso così riguardo agli sforzi dell’Italia per avvertire il Regno Unito: «Abbiamo la coscienza pulita». Scotland Yard, dal canto suo, ha detto che Zaghba «non era un elemento di interesse per la polizia o il MI5».

L'efficienza delle nostre autorità
Secondo i dati divulgati dal ministero dell’Interno italiano, le autorità anti-terrorismo hanno fermato e interrogato 160.593 persone tra il marzo 2016 e il marzo 2017. Non solo: hanno fermato e interrogato circa 34.000 persone negli aeroporti e arrestato circa 550 sospetti terroristi, di cui 38 sono stati poi condannati. Più di 500 siti internet sono stati chiusi e quasi mezzo milione sono stati sotto monitoraggio. Giampiero Massolo, direttore della nostra intelligence tra il 2012 e il 2016, ha affermato che il Belpaese ha imparato «una lezione molto dura durante i nostri anni di terrorismo». E ha spiegato: «Da allora abbiamo tratto l’esperienza di quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l’intelligence e le forze giudiziarie. In effetti la prevenzione è cruciale per essere efficaci nell’anti-terrorismo».

La spiegazione demografica
Altra spiegazione risiede nella demografia. L'Italia, infatti, è terra d'immigrazione più recente rispetto ad altri Paesi europei, come Germania e Francia. E gli ultimi attacchi terroristici hanno dimostrato come i più a rischio radicalizzazione siano cittadini europei immigrati di seconda o terza generazione. In generale, Paesi come Francia, Belgio e Regno Unito devono fare i conti con una popolazione di questo tipo molto più numerosa che in Italia. Arturo Varvelli, esperto di terrorismo all’ISPI, ritiene la scarsa incidenza di popolazione immigrata di seconda e terza generazione suscettibile alla propaganda dell’ISIS consente alle autorità di concentrarsi sul monitoraggio di cittadini non italiani, che eventualmente possono essere espulsi al primo segnale di allarme. 

In Italia più seconde generazioni di Spagna e Belgio
C'è però anche chi ritiene che queste spiegazioni siano, in fondo, piuttosto semplicistiche. Fulvio Scaglione, ex vicedirettore di Famiglia Cristiana e giornalista esperto di terrorismo, fa ad esempio riferimento alla tesi demografica: «L’Italia, ci dice Eurostat (dati 2014), ha più seconda generazione (5,1%) della Spagna (3,3%) e del Belgio (4,3%) dove si sono avuti gesti efferati. E poi, siamo onesti: in Italia non vive nemmeno uno squilibrato, un fanatico con un coltello, un matto con la patente? Nemmeno uno?», si chiede.

Intercettazioni e controlli in spregio del garantismo
Per Scaglione, se i terroristi non hanno ancora colpito l'Italia potremmo dover ringraziare i nostri «difetti». Il primo è che, seppur in spregio del garantismo, siamo facili alle intercettazioni, quindi ai controlli sulle persone (quasi 200 mila nei primi sette mesi del 2017), nonché ad arresti ed espulsioni (67 nel 2017) al minimo pretesto.

E' «merito» della mafia?
Quindi, Scaglione affronta il più grande dei tabù: e se dovessimo dir grazie anche alle mafie? «Non è un mistero per nessuno che i gruppi della criminalità organizzata esercitano, in diverse regioni soprattutto del Sud, un rigoroso controllo del territorio parallelo a quello dello Stato», spiega Scaglione. Che aggiunge: « E che ai loro affari non sarebbe di alcun giovamento il trambusto e la mobilitazione (dell’opinione pubblica, della politica e soprattutto dei servizi di sicurezza) che seguirebbero ad attentati o a gesti violenti comunque riconducibili al terrorismo». D'altra parte – aggiungiamo noi – diverse inchieste hanno seguito la pista esattamente opposta, e cioè che i mafiosi non siano «nemici» dei terroristi, ma piuttosto interessati interlocutori per lucrosi affari. Potrebbe esistere, in questo senso, un tacito e sottinteso accordo che risparmia l'Italia?

La strategia: Italia un «santuario del terrorismo»
E poi c'è l'ultima direttiva, forse la più ostica: quella che riguarda la strategia. Ugo Maria Tassinari, giornalista e scrittore esperto di terrorismo, ha provato a mettere qualche punto fermo sulla questione in una recente intervista a Lettera43. Il giornalista sottolinea innanzitutto come l'aver risparmiato il Belpaese possa costituire, per Daesh, un aspetto strategico tutt'altro che casuale: l'Italia, cioè, sarebbe «Un’area di non operatività militare in cui c’è una base forte che garantisce le attività di sostegno e sussistenza delle azioni terroristiche». In parole povere, «il terrorista di Nizza era stato in Italia pochi giorni prima, così come il tunisino probabile autore della strage di Berlino è stato in carcere da noi. E mi pare evidente che per sequestrare un camionista che parte dall’Italia occorre una segnalazione e quindi una base, una rete di persone di supporto. Per alcuni aspetti il nostro Paese può essere definito un «santuario del terrorismo"».

Il caso di Berlino Est
L'esperto, però, rileva come questa attuale condizione dell'Italia abbia dei precedenti storici in Europa. Perché la stessa Berlino Est è stata un «santuario»: «negli Anni 80, i terroristi della Raf che volevano abbandonare la lotta armata nelle città dell’Ovest venivano ospitati nella Berlino sovietica da agenti della Stasi».

Quando il Sismi si accordò con i palestinesi
Non solo: anche l'Italia, in passato, ha avuto esperienze simili. Nei primi anni '90, gruppi armati islamici hanno usato l’Italia come base logistica per la falsificazione di documenti, un’attività fondamentale per la guerriglia. E quando in Algeria esplose la guerra civile, Napoli era il centro di queste falsificazioni. E ancora, spiega Tassinari, negli Anni '70, per almeno un decennio. i gruppi terroristici italiani si sono riforniti dai palestinesi, e a loro volta i palestinesi avevano basi logistiche in Italia che erano sostanzialmente impunite. Nel 1973, dopo l’attento palestinese a Fiumicino, il colonnello Stefano Giovannone – ufficiale del Sismi molto vicino ad Aldo Moro – si accordò con i palestinesi: in cambio dell’uso del territorio per le basi, non avrebbero più compiuto attentati in Italia. Historia magistra vitae?