L'«anti-Obama». Basta incertezze, con l'Isis Trump mostra il pugno duro
La strategia di Trump contro l'Isis si discosta in diversi punti da quella del suo predecessore. In particolare in uno: se per Obama la parola d'ordine era «indecisione», per Trump è «chiarezza» (nel bene e nel male)
WASHINGTON – Uno dei punti prioritari (se non il prioritario) del programma elettorale di Donald J. Trump per quanto concerne la politica estera riguardava la strategia da tenersi per sconfiggere il terrorismo islamico di Daesh. Una strategia sulla quale il magnate newyorkese è stato a lungo vago, preannunciando un misterioso piano per sconfiggere l'Isis.
Un piano di cui si sa poco (a parole)
A distanza di mesi, quel piano che sarebbe dovuto essere messo a punto in 30 giorni dei suoi generali rimane un mistero. Lo stesso segretario di Stato Rex Tillerson, in occasione della riunione della coalizione internazionale anti-isis tenutasi a Washington, non si è «sbottonato» più di tanto: «Gli Stati Uniti», ha detto, «aumenteranno la pressione su Isis e al Qaeda e lavoreranno per stabilire le zone intermedie di stabilità, attraverso il cessate il fuoco, per permettere ai rifugiati di tornare a casa».
I primi passi di Trump contro Daesh
Ad ogni modo, le mosse sul campo dell'amministrazione Trump permettono di tracciare un primo, seppur certamente provvisorio, bilancio. Cosa sta facendo il tycoon contro gli spietati terroristi dell'Isis? Innanzitutto, il segretario alla Difesa James Mattis ha incontrato i suoi partner mediorientali e preso decisioni che sembrano andare nella direzione di rafforzare il ruolo americano nella battaglia: ad esempio, ha aumentato il numero di uomini e donne in servizio in Siria e in Iraq, cercando di concentrare più forze a stelle e strisce vicino al fronte, facendo paracadutare militari Usa nei dintorni di Mosul per bloccarne gli accessi, e ottenendo l'approvazione presidenziale per disporre di un più ampio margine di autonomia per le operazioni.
Basta incertezze
Per ora, le iniziative della nuova amministrazione seguono in parte il filo rosso tracciato da Obama, ma se ne discostano evidentemente in alcune parti. L'elemento più evidente è che Trump sembra aver eliminato ogni accenno di incertezza e indecisione che tante volte aveva impedito al suo predecessore di centrare obiettivi importanti sul campo. Un'azione più decisa e più coerente, insomma, che sembra allontanarsi dalle tante ambiguità che costellavano la strategia dell'ex segretario di Stato John Kerry.
Assad è tollerato, l'Isis no
Si pensi al rapporto con Bashar al Assad. Mentre l'amministrazione Obama per lungo tempo ha considerato come prioritario nella missione americana in Siria la deposizione del «dittatore», per Trump la priorità è una: lo Stato islamico. E' questo un punto chiarito da Trump già in campagna elettorale: il rovesciamento del regime non solo sarebbe stato secondario, ma addirittura controproducente per stabilizzare il Paese, nonché troppo costoso a causa del supporto russo e iraniano ad Assad. Non sarà forse casuale la recente svolta che ha preso la battaglia di Mosul, con le forze arabo-curde sostenute da Washington che hanno accettato di allearsi con quelle lealiste per liberare Raqqa.
Priorità e alleanze chiare
La priorità, dunque, è colpire l'Isis. Gli alleati più stretti rimangono gli Stati del Golfo Persico. L'Iran, al contrario, viene considerato un destabilizzatore della regione. In questo modo, oggi gli Stati Uniti hanno scelto da che parte stare, dopo l'ambiguità e i repentini cambi di direzione di Obama. La filosofia della nuova amministrazione è ben riassunta nelle parole dell'attuale segretario di Stato Rex Tillerson: «Quando tutto è una priorità, niente è una priorità. Dobbiamo continuare a mantenere la nostra attenzione focalizzata sulla questione più urgente».
Rapidità
Altra novità, la rapidità. La precedente amministrazione non si è distinta per aver messo in atto una strategia pronta ed efficace nei confronti del terrorismo islamico, delegando il più possibile agli eserciti e agli attori locali, che però non si sono dimostrati all'altezza della situazione. Trump, invece, la pensa diversamente. Come ha dichiarato il suo segretario di Stato, «il nostro obiettivo finale in questa fase è eliminare lo Stato islamico dalla regione attraverso la forza militare». Per qualcuno, il pugno duro di Trump contro l'Isis è addirittura troppo pesante, perché potrebbe portare a un totale sradicamento di Daesh ancora prima che gli americani abbiano stabilito contatti e alleanze salde per la stabilizzazione successiva.
L'impegno Usa non finirà con la fine dell'Isis
E poi c'è il ruolo a medio termine degli Stati Uniti nella regione, e le loro mosse future. Se quella di Obama è stata ribattezzata «la strategia del caos», perché puntava a mantenere l'impegno Usa a un livello piuttosto modesto, demandando responsabilità agli alleati sul campo e affidandosi al «caos» perché nessun attore locale prevalesse davvero sugli altri, l'approccio di Trump è diverso. I suoi uomini di fiducia Mattis e Dunford hanno infatti chiarito che le truppe americane rimarranno in Iraq per un lungo periodo. Un approccio più deciso e pragmatico di quello di Obama, che, dopo aver promesso, in diversa misura, il ritiro del contingente a stelle e strisce in Iraq e Afghanistan, ha poi dovuto ricredersi più volte.
Coalizione anti-Iran in vista
Un altro aspetto riguarda il «post-Califfato», quando, cioè, l'Isis sarà stato sradicato dalla regione. L'amministrazione Trump sembra infatti avere un occhio proiettato al futuro. Le dichiarazioni del tycoon, oltre che le mosse del suo team in politica estera, fanno pensare che la nuova amministrazione stia ponendo le basi per stabilire una coalizione anti-Iran, una volta che Daesh non sarà più una minaccia. Trump ha fatto sapere chiaramente di considerare Teheran un pericolo per la stabilità della regione, oltre al principale sponsor del terrorismo, e ha più volte criticato l'accordo sul nucleare stretto dal suo predecessore.
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Due punti di ambiguità
In questo quadro di maggiore decisione, chiarezza e rapidità rispetto all'approccio obamiano, emergono un paio di punti ancora ambigui. Il primo riguarda un'eventuale cooperazione con la Russia, prospettiva che in campagna elettorale pareva allettare Trump, ma che ad oggi sembra esclusa. Qualche settimana fa, Washington ha fatto sapere di considerare un'eventuale cooperazione militare ancora prematura. Oltretutto, la scelta di campo di ostilità nei confronti dell'Iran, fondamentale alleato regionale della Russia, non può che allontanare ulteriormente la prospettiva. La seconda questione riguarda invece la Turchia e, in particolar modo, i curdi. L'amministrazione Trump non sembra aver ancora raggiunto un accordo con Ankara a proposito del ruolo delle forze curde nella battaglia di liberazione di Raqqa; tantomeno, sul loro futuro una volta che la guerra sarà conclusa.
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