Siria, da dietro le quinte Trump prepara il «piano segreto» con la Russia
Secondo fonti vicine all'intelligence israeliana, Donald Trump starebbe già scalzando dalla poltrona Barack Obama, in particolare sul dossier siriano, e lavorando a un piano per sconfiggere l'Isis
ALEPPO - Il presidente eletto Donald Trump non ha mai fatto mistero di non condividere, a proposito del dossier siriano, la linea impressa dall'amministrazione di Barack Obama, che, salvo tentativi falliti di cooperazione con Mosca, si è prodigata a sostenere i ribelli cosiddetti «moderati» contro l'Isis ma anche, o soprattutto, contro il regime di Bashar al Assad. Il tycoon ha espresso chiaramente le sue posizioni sia in campagna elettorale, sia in occasione di alcune interviste dopo la sua elezione: a suo avviso, la priorità degli Usa dovrebbe essere abbattere lo Stato islamico, e Washington dovrebbe, per raggiungere questo obiettivo, cooperare con la Russa e con lo stesso Assad. Ora, c'è chi è convinto che Trump non stia neppure attendendo di entrare ufficialmente in carica per mettere in pratica il proprio progetto. E che la politica degli Usa in Siria stia già subendo una brusca virata.
Il piano segreto di Trump
Secondo il noto sito vicino all'intelligence israeliana Debka file, che cita fonti militari e istituzionali di Washington, il consigliere sulla sicurezza nazionale del tycoon Michael Flynn sarebbe segretamente in contatto con il capo del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev, oltre che con il presidente turco Tayyp Recep Erdogan e con il re giordano Abdullah. Il piano in discussione sarebbe un attacco coordinato allo Stato Islamico in Siria e in Iraq, da realizzarsi poco dopo l'entrata di Trump alla Casa Bianca a gennaio, e contemplerebbe anche la partecipazione degli eserciti regolari turco, giordano, iracheno e delle nazioni del Golfo Persico.
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I colloqui tra Israele, Siria e Giordania
Altri colloqui top secret sarebbero in corso tra Israele, Siria e Giordania per la stabilizzazione del confine meridionale della Siria e il ripristino dello status quo risalente a prima del ritiro dalle alture del Golan e dello scoppio del conflitto siriano nel 2011. Il negoziato sarebbe mediato da Stati Uniti e Russia, e avrebbe già prodotto un risultato tangibile: un centinaio di militari dell’UNDOF (La Forza di Disimpegno di Osservatori dell’Onu) ha infatti ripreso possesso della base di Camp Faouar nel Golan, da dove, il 28 agosto del 2014, dovettero ritirarsi dopo che i ribelli di Al-Nusra rapirono 40 soldati delle isole Fiji in forza al contingente. L'idea sarebbe, dunque, il ripristino della zona demilitarizzata che separava Israele dalla Siria a seguito dell'armistizio del 1974. Uno scenario particolarmente vantaggioso per Tel Aviv, perché rappresenterebbe un argine alle eventuali mire dell'Iran e di Hezbollah sulla regione. Un grande ostacolo al raggiungimento dell'obiettivo sarebbe invece la presenza di forze ribelli radicali siriane nella parte Sud del Paese, in particolare il gruppo Khalid bin Walid, i cui leader hanno promesso lealtà al capo dell'Isis Abu Bakr al Baghdadi.
Assad: naturali alleati di Trump se combatterà il terrorismo
Ad ogni modo, un riferimento indiretto ai negoziati in corso sotto la guida del consigliere di Trump, secondo Debka File, sarebbe riconoscibile anche in un'affermazione pronunciata da Bashar al Assad in occasione della sua recente intervista a una tv portoghese: «Se - e sottolineo se - Trump combatterà i terroriristi», aveva detto, «è chiaro che saremo un naturale alleato degli Usa, insieme con i russi, gli iraniani e tutti coloro che vogliono sconfiggere i terroristi».
Cambio di passo
Non è mai successo che un Presidente americano prendesse le redini della politica estera degli Usa prima dell’insediamento ufficiale alla Casa Bianca. Ma l'intenzione di Trump di mettersi immediatamente al lavoro era chiara già a pochi giorni dalla sua elezione, quando il suo staff avvertì l'amministrazione del suo predecessore di non «prendere iniziative» in politica estera, in modo da non mandare messaggi discordanti rispetto alle intenzioni del Presidente eletto. Un avvertimento già piuttosto eloquente a proposito del repentino cambio di direzione che il tycoon avrebbe impresso alla politica estera americana, innanzitutto in Siria.
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