28 agosto 2025
Aggiornato 00:30
Intervista al generale Fabio Mini: i contrasti sono anche economici

Se in Libia si gioca la guerra del petrolio tra Roma e Parigi

Secondo il generale Fabio Mini, le frizioni tra Italia e Francia sullo scacchiere libico, smentite ieri dal ministro Paolo Gentiloni, esistono e sono legate a interessi contrastanti sul piano economico: in primis l'oro nero

TRIPOLI - Le frizioni tra Italia e Francia sullo scacchiere libico, smentite ieri dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, esistono e sono legate agli «interessi contrastanti» sul piano anche economico, in primis a quelli di Eni, secondo il generale Fabio Mini, intervistato da askanews. Sulla diffidenza e le incomprensioni tra Roma e Parigi oggi l'agenzia France Presse pubblica un ampio servizio, rimettendo sul tavolo anche i raid su Sirte, disconosciuti dalla Francia. Per l'ex capo dalla missione Kfor, i misteriosi bombardamenti di cui nessuno si assume direttamente la paternità sono comunque «più che altro a scopo dimostrativo»: azioni da spendere sul tavolo negoziale del futuro libico e di un possibile intervento militare internazionale.

Interessi contrastanti
«Ci sono frizioni tra interessi - ha spiegato il generale Mini - interessi contrastanti perchè la Libia è stata da sempre vista come un campo di gioco dell'Italia. La nostra Eni storicamente non è mai stata una semplice impresa commerciale o estrattiva in Libia, ma molto molto di più, nel bene e nel male. Questi interessi contrastanti, quindi, arrivano al livello dirigenziale più alto di uno Stato quando le imprese, in questo caso petrolifere, sono controllate anche parzialmente dallo Stato». Detto questo, «il ministro Gentiloni diplomaticamente fa il suo mestiere, ma bisogna guardare in faccia realtà, da come verranno risolte queste questioni dipenderà chi ha perso e chi ha vinto la partita».

Le intenzioni di Roma
Per l'Italia è fondamentale che la richiesta di intervento militare arrivi dal governo di unità nazionale che sarà guidato dal premier libico incaricato dall'Onu Fajaz Serraj, la cui formazione dovrebbe avvenire entro il 17 gennaio. Roma ha intenzione, infatti, di restare nel solco della risoluzione delle Nazioni Unite secondo cui «la Comunità internazionale è chiamata a rispondere alle domande di sicurezza del governo libico», ha ricordato Gentiloni anche ieri. Ma secondo Mini «fino a quando Eni non si presenterà dal governo per chiedere un intervento» la posizione dell'Italia su questo piano non cambierà, perché «i nostri interessi in Libia sarebbero compromessi con un'azione militare a caso»

Solo un malinteso?
Per Jean-Pierre Nardis, esperto di questioni di difesa all'Istituto per gli affari esteri a Roma, intervistato da Afp, la questione economica, la presunta volontà di Parigi di acquisire il controllo del petrolio libico, nascosta dietro la richiesta di intervento militare, è invece «una paranoia italiana» che deriva da un «malinteso» tra i due Paesi nato in occasione dell'intervento franco-britannico in Libia nel 2011. Questo «malinteso», ha aggiunto Nardis, si è ulteriormente esacerbato a causa del «silenzio» del premier Matteo Renzi alle richieste di sostegno militare del presidente francese François Hollande dopo gli attentati di Parigi.

Il ruolo dell'Italia e dell'Onu
La posizione dell'Italia, più volte difesa dal ministro Gentiloni, che comunque prevede un futuro ruolo di coordinamento per evitare una «Somalia a trecento chilometri dalle nostre coste», si oppone alla linea più chiaramente interventista di Parigi. Ma aspettare l'Onu, per il generale Mini, è «una castroneria» perché le Nazioni Unite «hanno un complesso burocratico e politico-diplomatico che è lento e non in grado di mettere insieme le volontà oltre il livello politico-diplomatico in cui tutti si dicono d'accordo. Quando si arriva alla parte organizzativa e sul campo, vengono fuori gli interessi personali, le questioni di bottega e le difficoltà oggettive». Per trovare una via d'uscita alla crisi libica, quindi, «bisogna dare un po' più di tempo per raggiungere un atteggiamento politico-diplomatico che consenta un intervento anche armato sul terreno, questa cornice è necessaria se non vogliamo fare come Francia e Gran Bretagna, cioè sparacchiare e andare via e chi c'è c'è e chi ha preso batoste se le tiene».

Quali interlocutori?
Resta però da chiarire chi siano gli interlocutori con cui dialogare, e tra questi, secondo Mini, bisogna escludere l'Egitto: «In Libia bisogna cercare di rafforzare questa fragilissima intesa da quattro soldi che non sta in piedi. Un'intesa in cui l'Egitto è un interlocutore di primo piano è fasulla. Il Cairo ha i suoi interessi come altri, è un mestatore di faide interne, e come l'Egitto ci sono anche altri Paesi che hanno questo atteggiamento». I passi sono obbligati, secondo il generale: prima rafforzare l'intesa in tempo per organizzare la missione militare che «imponga, anche con la forza, il dialogo tra tutti», per arrivare a un «accordo che possa diventare un punto di partenza per un nuovo avvio».

Il mistero dei raid
L'esperto di relazioni franco-italiane Nardis, convinto che i rapporti tra i due Paesi si siano effettivamente raffreddati, prevede che ci possa essere un rilancio in occasione della visita del ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti a Parigi la prossima settimana e la conferenza della coalizione internazionale anti-Isis prevista a Roma a inizio febbraio. In quell'occasione, probabilmente, potrebbero essere messi sul tavolo anche i raid senza padrone in Libia, che molti i media hanno attribuito alla Francia, ma che il ministero della Difesa d'oltralpe ha sempre negato. «Fino ad esso sono stati fatti raid soltanto a scopo dimostrativo - ha spiegato l'ex capo di stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa - non ci sono stati interventi armati o raid aerei o aerei senza pilota o forze speciali. Anche se bisogna sottolineare che è falso affermare che in Libia non c'è nessuno: sul terreno ci sono già forze speciali di diverse nazioni. Chiunque li compia, i raid in questione sono interventi di carattere dimostrativo da spendere sul tavolo negoziale con i propri interlocutori per trovare sostegno internazionale. E' quindi su su questo livello che si sviluppano le cosiddette frizioni».

(Con fonte Askanews)