20 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Affonda una nave carica di migranti

La tragedia di Giava, strage in mare di afgani e iraniani

Sarebbero annegati in oltre 200, polemiche in Australia. «Ufficialmente ancora dispersi, pochissime le speranze di ritrovarli vivi; é probabile che siano tutti morti» ha detto il portavoce della protezione ciivle indonesiana, Gagah Prakoso

GIACARTA - Un'ondata lo ha spezzato in due: a bordo del vecchio peschereccio che si dirigeva in Australia, al largo dell'isola indonesiana di Giava, c'erano forse 250 afgani e iraniani, tutti alla ricerca dell'asilo politico. Molti erano bambini, oltre duecento sono annegati: ufficialmente ancora dispersi, pochissime le speranze di ritrovarli vivi; «é probabile che siano tutti morti» ha detto il portavoce della protezione ciivle indonesiana, Gagah Prakoso. «Abbiamo mandato quattro navi e due elicotteri ma non abbiamo visto nulla». Solo 33 persone sono state salvate, 30 uomini, una donna e due bimbi.

La tragedia giunge a un anno dall'affondamento di un'altra nave carica di migranti diretti in Australia. E provoca un'ondata di indignazione fra le associazioni australiane per l'aiuto ai rifugiati, in pesante polemiche con le misure restrittive applicate dall'Australia.
Il peschereccio è stato colpito da una forte tempesta e da ondate alte fino a cinque metri. Secondo Kelik Purwanto, operatore della protezione civile, «è impossibile anche per un buon nuotatore con giubbotto di salavataggio raggiungere la riva in queste condizioni meteo. I corpi di solito arrivano a riva al terzo giorno».

Fra i sopravvissuto Armaghan Haidar, studente afgano diciassettenne. «Ho sentito l'acqua sui piedi e mi sono svegliato. La gente urlava, cercava di uscire. Io ci sono riuscito e mi sono attaccato alla murata con un centinaio di altre persone, ma altre cento sono rimaste intrappolate dentro».
I sopravvissuti dicono di essere venuti dall'Iran e dall'Afghanistan e di aver pagato fra i 2.500 e i 5.000 dollari americani per il viaggio della speranza: un aereo da Dubai a Giacarta, e di lì la nave per l'Australia. «Vogliamo una vita migliore» dice il giovane student. «In Afghanistan non c'è nulla. Terrorismo sì, ma non si può studiare e non c'è lavoro».

In Australia il ministro degli Interni Jason Clare ha parlato di una «immane tragedia». Ma per le associazioni di aiuto ai rifugiati l'atteggiamento del governo è di pura ipocrisia. «Se governo e opposizione si preoccupassero davvero, avvierebbero una politica umana di accoglienza» dichiara Ian Rintoul, coordinatore della Coalizione per i i rifugiati.
Sono pochi i migranti che arrivano in Australia via nave: 6.800 contati nel 2010, molti di meno nel 2011. Ma sono un soggetto spinoso. Si tratta per lo più di iraniani, afgani, iracheni e curcdi. Lo scorso agosto il tribunale supremo australiano ha bocciato un progetto governativo che voleva mandare in malaysia 800 richiedenti asilo in attesa che la loro domanda fosse esaminata.