3 maggio 2024
Aggiornato 17:30
Ollanta Humala sfida Keiko Fujimori

Presidenziali in Perù, oggi il ballottaggio

Nonostante i dieci punti percentuali di differenza al primo turno, Humala non può tuttavia essere considerato l'ovvio favorito

QUITO - Il ballottaggio delle presidenziali peruviane in programma oggi vede di fronte il candidato nazionalista Ollanta Humala - che ha conquistato il primo turno con il 31,39% delle preferenze - e la conservatrice Keiko Fujimori, figlia dell'ex presidente Alberto.

Nonostante i dieci punti percentuali di differenza al primo turno, Humala non può tuttavia essere considerato l'ovvio favorito: già nel 2006 si presentò in forte vantaggio per poi venire sconfitto al ballottaggio da Alan Garcia, appoggiato da buona parte della classe media spaventata da una campagna radicale vicina alle posizioni espresse da Hugo Chavez.
Per questo Humala - che nel 2000 fu protagonista di un fallito golpe contro Fujimori, alla testa di qualche decina di reclute - si è presentato quest'anno su posizioni molto più moderate, invitando tutte le forze politiche e sociali ad unirsi al suo progetto pur a costo di promettere «numerose concessioni». Dalla sua ha un risultato migliore del previsto nelle regioni a lui più favorevoli, come il sud e le zone andine, ma anche un secondo posto a Lima dove ha raccolto più voti rispetto a cinque anni fa.

A favore di Humala potrebbe giocare la figura di Fujimori, l'ex presidente condannato a 25 anni di reclusione e che rimane una figura assai controversa: non pochi pensano che l'elezione di Keiko non farebbe che riportarlo al potere indirettamente, tanto più che la Corte Costituzionale ha rimandato al sentenza su un appello contro la condanna a dopo il voto.

Sia come sia, l'esito delle concomitanti politiche assicura che nessuno dei principali partiti otterrà la maggioranza assoluta, anzi il «Gana Perù» di Humala dovrebbe risultare la terza forza, con una ventina di deputati: una situazione che per molti analisti potrebbe trasformarsi in un vantaggio, obbligando le parti a cercare un compromesso respingendo posizioni più estreme al contrario di quanto avvenuto in Venezuela, Bolivia o Ecuador, con Parlamenti dominati dai partiti presidenziali.