28 marzo 2024
Aggiornato 12:30
Diritti Umani

Sudan, giornalista arrestata per i pantaloni: non temo il processo

Loubna al Hussein rischia di essere condannata a 40 frustate

CAIRO - Arrestata per aver indossato i pantaloni, con il rischio di essere condannata a ricevere fino a 40 frustate, la giornalista sudanese Loubna al Hussein ribadisce che non intende farsi intimidire dalle autorità di Khartoum. «Sono pronta a ricevere 40.000 colpi di frusta», dice alla France Presse, con tono di sfida. Arrestata il 3 luglio scorso in un ristorante di Khartoum insieme ad altre 12 donne per «abbigliamento indecente», Hussein scrive per il giornale di sinistra Al-Sahafa e lavora per la missione delle Nazioni Unite in Sudan.

Hussein avrebbe potuto avvalersi dell'immunità di cui gode in quanto dipendente delle Nazioni Unite, invece ha preferito presentare le dimissioni all'Onu per fare in modo che il processo, la cui prossima udienza è prevista per domani, segua le normali procedure. «Sono pronta a tutte le possibilità - dice la giornalista, raggiunta telefonicamente dalla France presse - io non temo assolutamente il verdetto». Al Hussein sarà giudicata ai sensi dell'articolo 152 del codice penale sudanese, che prevede una pena di 40 frustate per chiunque «commette un atto indecente o un atto che viola la moralità pubblica o indossa abiti indecenti».

«Il mio obiettivo principale è eliminare l'articolo 152 - sottolinea - questo articolo è contro la costituzione e la Sharia», la legge islamica in vigore nel nord del Sudan dal 1983. «Se alcuni sostengono che sia la Sharia a prevedere la flagellazione delle donne per quello che indossano, mi devono mostrare le sure del Corano o gli hadith (parole del profeta Maometto, ndr) che lo affermano. Io non li ho trovati».

«Negli ultimi 20 anni, decine di migliaia di donne e di giovani donne sono state frustate a causa del loro abbigliamento. Non è raro in Sudan», ha aggiunto. Dieci delle donne fermate insieme ad al Hussein all'inizio di luglio hanno ricevuto 10 frustate a testa due giorni dopo l'arresto. Tra le donne arrestate c'erano anche sudanesi del Sud, per lo più di religione cristiana o animista. «Voglio che la gente sappia. Voglio che la voce di queste donne sia ascoltata - sottolinea la giornalista - se sarò condannata a essere frustata o a qualsiasi altra cosa, farò appello. Andrò fino in fondo, fin davanti alla Corte costituzionale se sarà necessario. E se la Corte costituzionale riterrà l'articolo conforme alla costituzione, sono pronta a ricevere non 40, ma 40.000 colpi di frusta». Denunciando pubblicamente questa pratica, aggiunge, «ho già vinto metà della battaglia».

La giornalista si è infatti detta sommersa da testimonianze di sostegno, anche se non sono mancate le minacce. Una mattina, mentre si accingeva a salire sulla sua autovettura, un uomo a bordo di una motocicletta le ha urlato contro che farà la fine di Marwa El Sherbini, la giovane donna egiziana uccisa all'inizio di luglio nel tribunale di Dresda. Minacce che non l'hanno però dissuasa dall'intenzione di presentarsi domani in aula con gli stessi abiti che indossava al momento dell'arresto.