23 aprile 2024
Aggiornato 21:00
Classifica 'Bloomberg Global Health Index'

Gli italiani sono il popolo più in salute del mondo: grazie alla dieta e alla sanità pubblica (che vogliono toglierci)

Salute significa mangiar sano e servizi sanitari gratuiti. L'Italia, Cenerentola economica a cui tutti vogliono dare lezioni, per una volta può essere d'esempio a tutto il mondo. Privatizzare la sanità significa peggiorare la salute dei cittadini, come testimoniano gli scadenti risultati dei paesi anglosassoni

Il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin, nei centri di chirurgia robotica del Policlinico con il presidente della Campania Vincenzo De Luca, durante il suo tour per gli ospedali napoletani
Il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin, nei centri di chirurgia robotica del Policlinico con il presidente della Campania Vincenzo De Luca, durante il suo tour per gli ospedali napoletani Foto: ANSA /CIRO FUSCO ANSA

ROMA - La notizia, che a molti potrà sembrare surreale date le difficoltà quotidiane che si incontrano con il sistema sanitario nazionale, ha valore statistico.
L'Italia è il Paese con la popolazione maggiormente in salute e sana a livello mondiale, e questo nonostante la situazione economica difficoltosa. A sancirlo è la classifica 'Bloomberg Global Health Index', inerente 163 Paesi. Infatti, un bambino nato in Italia ha una aspettativa di vita di un ottuagenario, mentre in Paesi come il Sierra Leone l'aspettativa di vita è di circa 52 anni. Nella classifica dei Paesi 'più in salute', dopo l'Italia, figurano Islanda, Svizzera, Singapore, Australia. Gli Usa sono al 34/mo Posto. Questo non significa che a far scalare la classica sia solamente il servizio sanitario. Molteplici fattori concorrono: stile vite, ambiente, alimentazione, cultura, incidono profondamente nelle creazione di queste statistiche. In particolare, secondo i ricercatori dell’agenzia Bloomberg, la dieta mediterranea crea le giuste condizioni per una vita in buona salute. Bloomberg, in tal senso, porta ad esempio le ricerche di Adam Drewnowski, direttore del Center for Public Health Nutrition dell'Università di Washington secondo il quale è di fondamentale importanza per i consumatori poter avere accesso a a prodotti freschi, frutta e pesce.
Nella classifica dei Paesi che possono offrire un cultura della salute avanzata figurano Islanda, Svizzera, Singapore, Australia. Gli Usa sono al 34/mo Posto. Questo nonostante la violenza della crisi economica che si abbatte da ormai quasi dieci anni sull’Italia, caratterizzata da alta disoccupazione e – sottolinea Bloomberg, che ricordiamo bene è una agenzia mediatica– dall’alto debito pubblico. Gli italiani hanno una salute migliore rispetto canadesi, americani e inglesi, che presentano tutti livelli più alti di pressione sanguigna e colesterolo, oltre ad essere maggiormente colpiti da disturbi psichiatrici. 

Perché accade questo?
Lo studio non sottolinea una peculiarità del servizio sanitario nazionale: esso è pubblico dato che la Costituzione Italiana pone la salute tra i diritti fondamentali. A tutelarla c’è il famoso articolo 32, che recita: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". Il termine «indigenti» non deve far cadere in un tranello semantico. Nel 1948 l’Italia usciva devastata dalla seconda guerra mondiale e «indigente» era buona parte, se non tutta, della società. Si pone dunque come un sistema pubblico di carattere "universalistico", tipico di uno stato sociale, che garantisce l'assistenza sanitaria a tutti i cittadini, finanziato dallo Stato stesso attraverso la fiscalità generale e le entrate dirette, percepite dalle aziende sanitarie locali attraverso ticket sanitari (cioè delle quote con cui l'assistito contribuisce alle spese) e prestazioni a pagamento. Nonché attraverso la creazione di un debito pubblico. A partire dagli anni ottanta, il concetto di salute da bene universale e gratuito (e quindi diritto per l'autonomia) è progressivamente mutato in quello di bene necessario per l'equità (una concessione), come un fatto di equità verso i poveri, piuttosto che come un bene per tutti quelli che sono presenti nella società.

Privatizzazione
Non è un caso che dagli anni ottanta cambi, e nei tempi più recenti tale tendenza sta divenendo sempre più marcata, il concetto di universalità del diritto alla salute. In poche parole: per il ricco e per il povero valgono le stesse regole. Gli anni ottanta rappresentano il momento d’irruzione dell’ideologia neo liberale che, come noto, tende alla privatizzazione dei servizi. In particolare quelli sanitari. Chiunque può testimoniare che la gratuità della sanità italiana è sempre più parziale: i ticket, così come la necessità di ricorrere a visite private date le liste d’attesa, stanno portando il diritto alla salute sempre più sotto l’ala delle assicurazioni. Ovvero i sistema imperante nei paesi che nella classifica di Bloomberg seguono l’Italia molto distanziati. In particolare risulta impressionante, e vale come monito, il modestissimo posizionamento degli Stati Uniti, ovvero la nazione più ricca e potente del mondo, vista globalmente de decenni come un faro della civiltà verso cui correre: trentaquattresimo posto.

Debito pubblico e riforme
Quando, su tutti i mezzi di comunicazione, si sente il coro che invoca le «riforme per abbattere il debito pubblico» si chiede prettamente la privatizzazione del sistema sanitario pubblico ed universale. E quindi il relativo peggioramento del servizio e della salute pubblica. Il debito pubblico è stato lo strumento principale che ha portato l’Italia dalle macerie della guerra al primo posto della classifica di Bloomberg, in appena pochi decenni. Questo non significa, ovviamente, che debbano essere tollerati sprechi e ruberie. Ma far soggiacere il diritto alla salute ad una eticamente enigmatica «sostenibilità finanziaria», o ancor peggio alla "austerità", è la via maestra per rendere la vita degli italiani meno salutare e più povera. In tale classifica, la virtuosa ed austera Germania, si piazza al sedicesimo posto.