19 aprile 2024
Aggiornato 01:30
Camera di Commercio di Verona

Branding Verona, una marca è per sempre

L’Università di Verona fotografa i brand depositati nel Registro marchi e brevetti della Camera di Commercio

VERONA - Marche forti, ben identificate, sostenute da strategie ragionate che utilizzano una pluralità di mezzi di comunicazione e promozione, anche originali, come il posizionamento di prodotti nelle scene dei film. Sono i 999 brand name delle aziende scaligere analizzati dai ricercatori dell’Università degli Studi di Verona, in collaborazione con la Camera di Commercio di Verona. Un’indagine sulla personalità dei marchi depositati nel Registro marchi e brevetti della Camera di Commercio scaligera presentata oggi nel convegno oggi «Branding Verona - Un viaggio tra protagonisti e strumenti delle politiche di marca delle imprese veronesi».

Alessandro Bianchi, Presidente della Camera di Commercio di Verona, ha aperto i lavori assieme al rettore dell’Università scaligera, Alessandro Mazzucco: «con l’università, ci siamo chiesti se e quanto il prodotto veronese sia «riconoscibile» – spiega Alessandro Bianchi, Presidente della Camera di Commercio di Verona - perché la «riconoscibilità» di un prodotto è fondamentale per il successo di un’attività d’impresa, la differenzia dalla concorrenza sul mercato. Il marchio dell’azienda, come del prodotto, rappresenta un asset immateriale spesso non adeguatamente valorizzato, anche nel bilancio aziendale. Dalla ricerca emerge che le aziende hanno iniziato a capirlo.»

La ricerca ha analizzato 999 marchi dal punto di vista linguistico e semantico e poi approfondito l’analisi su ventuno imprese scaligere, verificando le scelte di branding adottate e, per tre specifiche marche (Wudy di Aia, Bauli e Calzedonia), la corrispondenza tra la personalità di marca che le aziende intendono trasmettere e ciò che invece è percepito dai consumatori. Ne hanno parlato, nella tavola rotonda moderata dal vice segretario generale della Camera di Commercio di Verona, Riccardo Borghero, Alberto Bauli, Bruno Veronesi, Giuseppe Albarelli ed Enrico Cipriani raccontando l'esperienza di branding di Bauli, Aia, Franklin&Marshall e Calzedonia.

C’è maggior consapevolezza del ruolo della marca come strumento per creare relazioni di mercato per le aziende di prodotti al consumo in particolare del vino, alimentare, abbigliamento e del mobile. Pure nel business to business, però, la marca si rivela un importante fattore di successo, in special modo per il comparto del marmo, degli imballaggi e nella tecnologia termo meccanica.

Le aziende hanno mostrato molto fantasia costruendo personalità di brand molto eteronegee. I consumatori, infatti, attribuiscono ai prodotti e alle marche delle aziende tratti della personalità tipici degli individui e scelgono marche che giudicano coerenti con l’immagine che hanno di sé.«Dalle 215 interviste ai consumatori emerge tra le imprese indagate una grande varietà di personalità di brand – aggiunge Marta Ugolini, docente di economia e gestione delle imprese dell’Università degli Studi di Verona, curatrice della ricerca – le due caratteristiche principali che accomunano maggiormente i brand sono la dimensione della sincerità, cioè della marca come persona come amichevole, concreta, onesta e sorridente, e quella della competenza, cioè la marca è vista come affidabile, intelligente, di successo, leader, gran lavoratore e sicurà di sé».

Un lavoro impegnativo che ha coinvolto, oltre al Dipartimento di economia aziendale dell’Università e anche quello di lingue e letterature straniere, rappresentato oggi da Paola Cotticelli che ha analizzato le strategie linguistiche e le sinergie di marketing. Dall’analisi dei marchi, infatti, risulta che il livello di trasparenza semantica sia abbastanza buono. Il 60% dei nomi di prodotto può essere giudicato da un punto di vista linguistico «trasparente» o «semitrasparente». Un 30% risulta «poco trasparente» e i rimanenti nomi sono «opachi». Ovvero il nome non rivela nulla del prodotto. La lingua utilizzata è nel 67% dei nomi l’italiano, seguito dall’inglese per il 21%, ma anche da nomi di origine latina, dialettali, francesi, greci della tradizione classica, ma anche spagnoli, tedeschi, un nome indiano e un orientale. Rimane un 5% di nomi ibridi composti di parole di lingue diverse. Per quanto riguarda le associazioni riscontrate nel corpus veronese, le più frequenti risultano le seguenti: internazionalità, tradizione, qualità, natura, individualità, tecnica e sicurezza.