Eurobond, uno schema per salvare l'Euro con più Europa
Con l'emissione di un debito comune l'«ombrello» anticrisi è più ampio
ROMA - Eurobond, uno scudo per proteggere tutti i Paesi della moneta unica dalle speculazioni dei mercati o un modo per far pagare l'attuale crisi ai Paesi più ricchi di eurolandia come la Germania? Il tema dell'emissione di debito comune garantito dall'Unione europea, da affiancare inizialmente a quello dei singoli stati, è tornato alla ribalta con gli ultimi attacchi speculativi mirati a Spagna e Italia. Un salto di qualità che, se non riportato sotto controllo rischia di far saltare l'intera Europa monetaria, a partire dalla Francia, entrata anch'essa nel mirino a lunga gittata dei mercati.
E' difficile infatti sottovalutare la pericolosità degli ultimi scossoni sul mercato dei titoli di stato. Il debito pubblico italiano è tre volte di più di quello di Grecia, Irlanda e Portogallo messi insieme. E ogni punto percentuale in più di costo sul debito - ha scritto recentemente il Financial Times - obbligherebbe il Paese a tagliare le spese di ulteriori 19 miliardi di euro per stabilizzare l'onere sul debito.
Un modo per uscire da questa spirale perversa potrebbe dunque essere quello di aumentare in modo sostanziale, l'emissione di titoli garantiti da tutti gli stati membri dando così maggiori garanzie agli investitori istituzionali e spuntando condizioni di provvista che la gran parte degli stati membri - ma non i più vituosi come la Germania - non potrebbero assicurarsi da soli.
Un segnale concreto del funzionamento di tale meccanismo lo offrono i due fondi europei di salvataggio e stabilizzazione varati negli ultimi mesi. A oggi il Fondo Europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ha impegnato un decimo dei 440 miliardi di euro promessi dai governi dell'eurozona, mentre Il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Efsm), l'altro organismo comunitario coinvolto nei salvataggi, ha allocato 60 miliardi di euro della sua capacità attuale, pari a 110 miliardi. Tali emissioni di titoli europei, veri e propri eurobond, hanno registrato una domanda del mercato molto maggiore dell'offerta e sono stati collocati a rendimenti modesti, seppur con un premio rispetto ai bund tedeschi. Ad esempio l'euroemissione dell'Efsf con scadenza 2016 effettuata a gennaio ha registrato uno spread sui bund contenuto a 40 punti base, che solo negli ultimi tempi, con l'aggravarsi della crisi, ha superato sul mercato secondario i 70 punti base.
Ma la Germania per ora sembra opporsi a ogni espansione su larga scala degli eurobond. Secondo una recente analisi della Royal Bank of Scotland menzionata dal Financial Times i due fondi europei in questione, per stendere un ombrello efficace anche su Italia e Spagna dovrebbero essere rimpinguati fino a 2.000 miliardi di euro. Ma con emissioni di tale portata il rating massimo AAA attualmente prerogativa di Francia, Germania e Olanda, potrebbe essere messo a rischio.
Forse, comunque, bisogna gettare il cuore oltre l'ostacolo. «Non saremmo arrivati a oggi se ci fossero in Europa gli Eurobond», ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti lo scorso 13 agosto dopo il varo della manovra d'emergenza da 45,5 miliardi di euro mirata ad allontanare dall'Italia le nubi della speculazione.
In un recente editoriale i direttori dell'Agenzia Bloomberg sottolineano che «Solo una soluzione radicale potrebbe fermare la putrefazione in atto. Per quanto politicamente tesi possano essere, Sarkozy e Merkel dovrebbero fare ciò che Alexander Hamilton (il primo segretario al Tesoro degli Stati uniti, padre del bilancio federale) fece nel 18mo secolo per risolvere una crisi simile negli allora immaturi Usa: spingere per la creazione di un ministero delle finanze federale, col potere di accollarsi i debiti dei singoli paesi membri dell'unione monetaria e l'autorità di tassare per pagare i debiti. Il ministero delle finanze potrebbe offire in scambio i titoli dei governi dell'area euro per nuove obbligazioni garantite dall'intero gruppo di 17 Paesi». Uno scambio che, visti gli enormi rischi di implosione dell'unione monetaria, sarebbe meno costoso di quello che sembra. Anche considerando che il debito complessivo dell'area euro, incluso il costo di salvataggio delle banche, ammonterebbe a circa il 90% del Pil comune: un valore in loinea con quello degli Stati Uniti e solo leggermente superiore all'80% della Germania.
Luca Borsari
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