20 aprile 2024
Aggiornato 13:00
Fiera di Verona, 25–27 novembre

JOB&Orienta 2010: il ministro Sacconi ha aperto stamattina la 20esima edizione

«Abbandono scolastico e scarsa occupabilità dei giovani in Italia: è colpa di un orientamento inadeguato e poco attento alle richieste del mercato del lavoro»

VERONA – In un’epoca in cui l’80% del calo dell’occupazione riguarda proprio i giovani (dati 2010), resta evidente – e da risolvere - il forte disallineamento tra le figure professionali richieste e la loro disponibilità nel mercato del lavoro. «Un gap dipendente dalle debolezze dei percorsi educativi e formativi e dalle carenze del nostro sistema di orientamento»: ha esordito così il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi, in videocollegamento (trattenuto a Roma per il tavolo sul Mezzogiorno tra Governo e Parti sociali) all’apertura della ventesima edizione di JOB&Orienta, il salone nazionale dell’orientamento, la scuola, la formazione e il lavoro, fino al 27 alla Fiera di Verona.

In Italia più di un terzo dei giovani sceglie il liceo in contrasto col mercato del lavoro che chiede competenze tecniche: «Il dato ci dice chiaramente come in questo caso pesi ancora troppo la convenzione sociale. A incidere è il fatto che i ragazzi e le famiglie hanno per lo più scarse conoscenze rispetto alle professionalità più richieste». Un’esigenza che potrà trovare in parte risposta nel possibile aggiornamento trimestrale dei dati del Rapporto Excelsior di Unioncamere (oggi annuale), come annunciato dal ministro: la loro elaborazione, realizzata appositamente per Job, darà modo di conoscere nei prossimi giorni quali siano i titoli di studio (diplomi e lauree) più spendibili nel mercato del lavoro, a partire dalle figure professionali più difficilmente reperibili (presentazione dei dati venerdì mattina).

«La carenza dell’orientamento nelle scuole e nelle università è tipicamente italiana, affiancata spesso anche da una scarsa attenzione alle richieste del mercato del lavoro» ha proseguito il ministro. In media un giovane italiano è al suo primo impiego a 22 anni, contro i 16,5 dei tedeschi. Rispetto a esperienze lavorative vissute durante lo studio (come lo stage), nel Mezzogiorno solo il 9,2% dei giovani può metterne in curriculum, e al Nord la percentuale non è molto più alta: tocca il 19%; ancora, il 21% dei giovani tra i 15 e i 29 anni oggi in Italia non studia e non lavora. A ciò si aggiunga che, a fronte dell’incidenza importante che l’attuale crisi ha avuto sull’occupazione giovanile, gli studi delle associazioni datoriali identificano il 26,7% della domanda di lavoro come di difficile e addirittura di impossibile reperimento.
Occorre inoltre vincere la persistente separazione tra i due mondi dell’educazione e del mercato del lavoro, eliminando «i percorsi inutilmente lunghi che non danno robuste competenze e favorendo un maggior dialogo tra i due sistemi, per formare conoscenze di base e competenze trasversali e permettere un’occupabilità continua dei giovani», ha detto il ministro Sacconi, aggiungendo,: «così sapremo rendere autosufficiente un giovane che si affaccia al mercato del lavoro, soprattutto in questo contesto di grandi cambiamenti».

Il Ministro è intervenuto anche sul tema del precoce abbandono scolastico, fenomeno ancora «resistente», a cui intende far fronte la legge specifica sull’apprendistato a 15 anni, varata quest’anno dal Parlamento, consentendo così di «recuperare il ragazzo, senza forzarlo a restare in aula, attraverso la possibilità di un contratto di apprendistato particolare a forte contenuto formativo, nella speranza che un’esperienza di lavoro integrata con l’apprendimento possa stimolare un ritorno alla conoscenza». E citando san Giovanni Bosco ha sottolineato come sia necessario dare valore all’«intelligenza nelle mani», ossia ridare dignità al lavoro manuale.

«È lo stesso mercato del lavoro a chiedere figure professionali con competenze tecniche, che non sono invece facilmente disponibili, alle quali è garantita spesso una remunerazione maggiore rispetto a chi proviene da una formazione classica debole, come da lauree frutto delle fantasie creative di qualche docente per giustificare le proprie cattedre - ha aggiunto Sacconi -. Anche nell’alta formazione i contratti di apprendistato sono da valorizzare di più e meglio: «Pure in questo ambito c’è bisogno di un rapporto tra imprese e università: l’università si apra all’impresa, che tra l’altro ha una forte valenza formativa e può servire a riorientare i percorsi per aiutare l’occupabilità e la crescita economica del Paese».

Il ministro ha infine concluso, ricordando l’accordo con le parti sociali che disegna la formazione: «è stata introdotta una sperimentazione che, al posto della certificazione formalistica di un corso effettuato, delega ad associazioni di categoria o enti bilaterali la certificazione sostanzialistica di ciò che una persona sa fare, favorendo per l’interessato l’incontro con un’opportunità di lavoro e, al tempo stesso, la ricerca di momenti formativi effettivamente utili alla sua occupabilità. Bisogna spezzare l’autoreferenzialità che finora ha fatto «la festa» dei formatori».