19 aprile 2024
Aggiornato 12:30
Marchi di qualità

Vecchioni: più integrazione con industria e distribuzione

Il Presidente di Confagricoltura: «Per definire un prodotto made in italy»

ROMA - La qualità è davvero l’elemento che distingue e caratterizza le specialità agroalimentari del nostro Paese? E’ sino in fondo il «tratto distintivo» del Made in Italy agroalimentare?
Questa la domanda che si è posto Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, articolando il suo intervento al Convegno «Censimento 2010, un progetto per l’agricoltura di domani - Qualità come punto di forza del Made in Italy» svoltosi stamattina a Firenze.

La risposta che dà Vecchioni è senz’altro: «sì». A patto però anche di intenderci sul concetto di qualità, che non è solo sinonimo di legame con il territorio o di alimenti prodotti con metodi sostenibili o biologici. Qualità è rispetto di disciplinari, caratteristiche di igiene e di prodotto superiori, traguardi raggiunti con l’impegno e la dedizione dalle imprese che investono in eccellenza, venendo incontro alla domanda del mercato. «Perché - ricorda Vecchioni - la qualità è un concetto relativo, in altre parole è quello che chiede chi compra».

Così intesa la qualità dell’agroalimentare nazionale può essere davvero «trainante», ma deve riguardare tutto il paniere di prodotti che possono essere offerti sul mercato: un paniere che tutte le imprese concorrono a formare, dalle produzioni non a indicazione geografica a quelle funzionali, come le commodity, alla zootecnia ed alla conseguente trasformazione industriale dei suoi prodotti.

«Non dobbiamo dimenticare - dice il presidente di Confagricoltura - che il 70% della produzione agricola nazionale è trasformata dalla nostra industria alimentare, assieme alla quale dobbiamo articolare un percorso virtuoso di collaborazione, crescita ed efficace integrazione con un ruolo attivo degli agricoltori».

Quindi una proposta: «Imbastiamo assieme un progetto che definisca quali debbono essere i requisiti e le specifiche per definire come italiani i nostri prodotti agroalimentari». E Vecchioni spiega: «Oggi una parte della rappresentanza del mondo agricolo punta solo ed esclusivamente sull’indicazione obbligatoria dell’origine della materia prima in etichetta. Noi non siamo pregiudizialmente contrari, ma non possiamo far finta di ignorare che l’industria manifatturiera già ora definisce Made in Italy anche oggetti ideati nel nostro Paese, ma realizzati altrove. Ed anche firme prestigiose come Prada ormai affiancano al loro marchio un «made in…» che fa riferimento a luoghi lontani dove avviene la manifattura».

Poi il presidente di Confagricoltura chiarisce: «Per l’agroalimentare non occorre certo arrivare a questo, ma sarebbe molto utile concordare assieme agli altri protagonisti della rete prodotto-mercato, ossia l’industria e la Gdo, che serva davvero per definire il Made in Italy. Questo per poter affrontare la concorrenza, legittima o sleale che sia, e garantire competitività ai nostri prodotti, il che in pratica significa mantenere quote di mercato e conquistarne nuove. Un modo innovativo ed imprenditoriale per fare del Made in Italy non solo un marchio, o peggio un vuoto slogan, ma uno strumento di crescita e di sviluppo per il settore ed il Paese».