19 aprile 2024
Aggiornato 03:00
Acqua, rifiuti. Trasporti. Meno stato e più privato grazie al provvedimento sui servizi locali

Liberalizzazione fa rima con modernizzazione

La ricaduta positiva sui cittadini dipenderà dai regolamenti di attuazione

Che cosa ci dobbiamo aspettare dalla recente liberalizzazione dei servizi pubblici locali? Quello che si prefigge il provvedimento che porta la firma del ministro Andrea Ronchi è chiaro: meno Stato più privato.
Dovrebbe produrre un effetto calmierante sulle tariffe, grazie ad una maggiore concorrenza e ad una più efficiente gestione conseguenza di una macchina organizzativa sottratta all’influenza delle burocrazie.

Al contrario le associazioni dei consumatori contestano proprio questo primo punto all’ordine del giorno della liberalizzazione. Alcune sigle, con il Codacons in testa, hanno calcolato che a farne le spese saranno le famiglie italiane sulle quali peserà un aggravio delle bollette nell’ordine delle centinaia di euro l’anno.

Per capire meglio quali delle due previsioni ha più probabilità di realizzarsi la cosa più utili da fare è  partire dal passato: uno studio recente della Confcommercio,  che ha elaborato dati Istat, ha rilevato che nel 1970 l’insieme di affitto o mutuo, gas, energia, acqua, servizi bancari ed assicurazioni obbligatorie era pari al 23 per cento del totale della spesa; nel 1990 era il 30 per cento; nel 2008 quasi il 39.

Quindi il regime monopolistico finora non ha garantito  il contenimento delle tariffe. Intanto  è diventato quasi un luogo comune il lamentarsi della distanza abissale che c’è fra quanto i cittadini pagano e quanto ricevono.

Risale al primo dopoguerra il tentativo di introdurre nel sistema dei servizi un linfa privatistica.

A Roma si arrivo all’assurdo di concessioni per i trasporti extraurbani prima date poi revocate. Ogni tentativo di liberalizzazione fu subito soffocato grazie al consociativismo di ferro che immediatamente legò, da una parte  il desiderio di stampo democristiano di ripristinare i monopoli anteguerra, dall’altra lo statalismo di matrice comunista. Negli anni seguenti fu poi  l’affermarsi del sindacalismo a cementare questa filosofia accentratrice,  madre e tutrice di lottizzazioni e di clientelismi.

Quanto sia resistente il collante monopolista ne sa qualcosa l’attuale segretario del Pd, Pier Luigi Bersani,  autore di quelle lenzuolate che costarono molti favori al governo Prodi. E’ pur vero che Bersani, forse indotto da rivalità politiche,  fece l’errore di cominciare dalla coda invece che dalla testa. Partì infatti attaccando  due categorie, professionisti e tassisti, marginali rispetto al cuore del problema, in compenso più delle altre in grado di fare la voce grossa nei confronti del governo.

Venendo a quanto sta accadendo in questi giorni, sotto accusa del provvedimento appena varato dal governo Berlusconi c’è soprattutto l’acqua. Oltre al concetto che l’acqua è un bene essenziale e quindi non privatizzabile, chi si è schierato contro le liberalizzazioni cita giustamente l’esempio dell’Acquedotto Pugliese: una rete idrica, seconda in Italia per chilometraggio, sottoposta ad un progetto di privatizzazione che nelle intenzioni avrebbe dovuto costituire un modello  apripista e che invece si è rivelata fallimentare. L’efficienza che avrebbe dovuto garantire si è dimostrata un miraggio. Perde ancora circa il 50 per cento dell’acqua che passa attraverso le sue condutture e il danno economico causato da questo spreco, secondo le stime più recenti, ammonterebbe ,solo per gli ultimi cinque anni, a quasi un miliardo di euro.

A supporto delle tesi antiliberali c’è inoltre la questione dei rifiuti , e in modo particolare l’esempio negativo della Campania dove un singolo cittadino spende per la raccolte più che in ogni altra parte d’ Italia con i risultati che sappiamo. Senza contare le contaminazioni malavitose che ha comportato  l’ingresso dei privati nella gestione di questo tipo di servizio. Ma bastano questi e altri esempi negativi ad annullare le potenzialità che la liberalizzazione dei servizi locali può sprigionare? Noi crediamo di no.

A patto naturalmente che vengano rispettati i fondamentali che debbono essere rispettati per impedire che il passo indietro dello Stato non si risolva in un assalto della diligenza a scapito dei cittadini. La perdita della presa monopolistica sui mercati, sostengono gli esperti,  non è necessariamente fonte di indebolimento per gli ex monopolisti. Anzi, togliendogli la certezza del ricavo li spinge a farsi più competitivi, portandoli così,  paradossalmente  a rafforzarsi,  mentre i consumatori possono beneficiare della concorrenza.  

Molto dipenderà dal regolamento di attuazione che farà seguito alla legge. Il provvedimento di privatizzazione non  infatti indicato le autorità indipendenti che dovranno vigilare sulle tariffe e sulla qualità dei servizi.

Per quanto riguarda le Autorità forse ce ne sono già troppe in giro, e con risultati non sempre esaltanti. Mentre sul controllo della qualità, la vigilanza e il controllo dovranno essere ferrei.

In Paesi, come negli Stati Uniti,  dove la libertà è massima, massimo è anche il potere del singolo cittadino di esercitare un controllo sulla qualità di quanto è chiamato a pagare.

Da noi il «pago pretendo» invece di essere il sigillo di un diritto è il segno di una arroganza.

Poi non meravigliamoci, però, se poi la gente finisce per prendere al rovescio anche i doveri.