Baldassarri: Consorterie e criminalità contro i tagli alla spesa pubblica
Per la Confindustria ridurre burocrazia e leggi sarebbe a costo zero
Continua all’interno della maggioranza lo scontro fra gli economisti patentati e cioè Renato Brunetta e Mario Baldassarri, e il titolare dell’Economia, Giulio Tremonti, che i suoi due colleghi (di partito ma non di studi) tacciano praticamente di essere poco competente della materia.
Baldassarri per mettersi al riparo da chi potrebbe accusarlo di indebolire il governo con i suoi attacchi a Tremonti minimizza dicendo si tratta di una semplice «dialettica all’interno della maggioranza», ma poi rincara la dose rinfocolando la polemica di altri elementi, alcuni dei quali se non inquietanti perlomeno preoccupanti.
Il presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato respinge l’accusa che gli viene mossa di essere un fautore della spesa facile. Precisa che la sua proposta di una finanziaria alternativa da 37 miliardi prevedeva una copertura proveniente da tagli alla spesa improduttiva e agli sprechi. Svela che a non far passare la sua linea a favore dello sviluppo sarebbe stata la difficoltà di tagliare «le voci di spesa che servono a foraggiare il brodo di sguazzo di circa 200 mila persone molto potenti e trasversali al sistema, facenti parte di cosche, organizzazioni, consorterie: dalle grandi multinazionali del crimine alle piccole congreghe locali».
Sono parole forti quelle pronunciate da Baldassarri in una intervista al Corriere della Sera che certo non mancheranno di suscitare altri manifestazioni di insofferenza fra i due schieramenti che si fronteggiano all’interno della maggioranza.
Ma al di là dello scambio di invettive scambiate all’interno e all’esterno della mura della casa comune sta montando nei confronti del ministro dell’ Economia un malcontento che non è solo l’effetto della mancanza di mezzi finanziari.
Sono tanti gli interventi che si potrebbero fare, sostiene un gruppetto che va dal Corriere della Sera alla Confindustria, senza dover ricorre a misure che implichino un aumento del debito pubblico. Piero Ostellino, sul quotidiano milanese, ne elenca perlomeno tre: la semplificazione amministrativa che riduca gli adempimenti burocratici; la semplificazione normative che ridica il numero delle leggi; l’incremento della produttività del sistema giudiziario civilistico, poiché i tempi lunghi scoraggiano gli investimenti esteri.
Gli fa eco sul «Sole24Ore un articolo di Giuseppe Oddo in cui si ricorda che un imprenditore siciliano passa 92 dei 220 giorni lavorativi a sbrigare pratiche. I giovani imprenditori siciliani, riporta il giornale della Confindustria, si vogliono ribellare a questa «mafia burocratica» istituendo un ufficio legale per chiedere il risarcimento dei danni provocati dalla burocrati che pongono ostacoli al funzionamento delle aziende. Intanto hanno messo in rete un sito, si chiama «addio burocrazia» al quale sono già arrivate centinaia di lettere di protesta.
Se non si fa nulla per aumentare la produttività, se le aziende vengono lasciate sole a vedersela con l’internazionalizzazione, dicono in sostanza i malumori che vengono dal basso, non dipende solo dallo stato di asfissia al quale sono ridotte le casse dello Stato.
«Saranno ammessi ulteriori sforamenti sul deficit solo per la cassa integrazione», ha tenuto a precisare stamani Tremonti, in Commissione Bilancio della Camera dove è in discussione la Finanziaria, come a voler sottolineare che in questo momento ha ben altro a cui pensare.
Il quadro sul versante del lavoro infatti è tutt’altro che rassicurante, nonostante i segnali positivi che arrivano dai dati congiunturali del terzo trimestre e dalle stime dell’Inps che indicano una inversione di tendenza nella richiesta di cassa integrazione da parte delle aziende.
Ha fatto scalpore in queste ultime ore la protesta dei ricercatori dell’Ispra, saliti sui tetti dell’Istituto per protestare contro 250 licenziamenti dopo i 280 su 1500 già effettuati. «Vigiliamo e facciamo ricerche su 11 mila chilometri di coste e riceviamo finanziamenti dal mercato poiché abbiamo una grande capacità di attrarre risorse », rimproverano i lavoratori dell’Ispra.
I tagli previsti dalla Finanziaria fanno tremare anche l’Università più popolata d’Europa: il rettore della Sapienza, Luigi Frati, ha affermato che nel 2010, senza risorse aggiuntive, non sarà in grado di pagare lo stipendio dei professori.
E arrivano notizie poco liete anche dal «made in Italy» , la «It Holding» un gruppo al quale fanno capo marchi del lusso come Ferrè e Malo, ha annunciato che ridurrà del 40 per cento i suoi dipendenti.
Oggi su tutti i giornali campeggia la notizia dello studente modello di un Istituto tecnico di Trento costretto ad abbandonare gli studi dopo che il padre è stato licenziato.
Per valutare nella sua giusta dimensione questa notizia del giovane italiano volenteroso ma perdente, bisogna confrontarla con quella riportata dal Corriere della Sera che denuncia il tentativo di reintrodurre per decreto gli arbitrati nelle controversie fra lo Stato e le aziende private.
Secondo quanto scrive Sergio Rizzo, un maestro nel rilevare vicende di spreco di denaro pubblico, nei primi mesi di quest’anno gli arbitrati hanno contribuito a far perdere allo Stato il 98 per cento delle controversie. In compenso per un arbitrato da 38 milioni la parcella di tre noti professionisti è stata di un milione e mezzo.
Ora si tratta di calcolare quanti stipendi di un lavoratore medio ci vogliono per raggiungere la cifra guadagnata da questi tre professionisti con un solo arbitrato.
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