26 aprile 2024
Aggiornato 06:00

Cassazione: volgarità diventano reato solo se dette dal capo

Il turpiloquio è ingiuria quando è rivolto ai sottoposti

ROMA - Il turpiloquio è offensivo solo se lo adopera il capo quando si rivolge ai «sottoposti». In pratica un linguaggio volgare, che tra due persone di «pari grado» (sociale o gerarchico) può essere considerato soltanto indice di cattiva educazione, diventa offensivo se adoperato dal capo o comunque da un superiore nei confronti di dipendenti o subordinati.

Ad introdurre una sorta di «teoria della relatività» del turpiloquio è la Cassazione che ha confermato la condanna per ingiuria di un tenente colonnello dell'Aeronautica militare che «apostrofava» abitualmente i sottoposti con termini offensivi. Nel respingere il ricorso dell'ufficiale, già condannato dal tribunale militare di Bari e dalla Corte d'appello di Napoli, i giudici della prima sezione penale della Corte hanno tuttavia sottolineato che «se può ammettersi che nel linguaggio comune e tra pari molte delle espressioni volgari usate hanno perso la loro connotazione offensiva, denotando soltanto impoverimento del linguaggio e dell'educazione, le medesime espressioni rivolte ad un sottoposto, in violazione delle regole di disciplina» riacquistano «il loro specifico significato spregiativo e lesivo, penalmente rilevante».

La vicenda di cui si è occupata la Cassazione risale al periodo compreso tra l'autunno del 2002 e la fine del 2003. Il tenente colonnello, per un anno intero, non faceva mai mancare qualche offesa agli avieri: «testa di cazzo», «non capisci un cazzo» e una serie di «variazioni sul tema». Dopo aver sopportato per un po', i militari hanno presentato una denuncia collettiva. Il tenente colonnello si è difeso affermando di essere «stressato dall'adempimento di un dovere particolarmente forte, in circostanze talvolta drammatiche». Una giustificazione che non regge, a parere dei magistrati. E che anzi la Cassazione giudica «impertinente» perché è generica e senza alcun riferimento concreto. Da qui la decisione di confermare la condanna per ingiurie a 6 mesi e 20 giorni, ma con il beneficio della pena condonata. Insomma, il linguaggio da caserma può essere adoperato solo «rispettando» i gradi sulla divisa.