25 aprile 2024
Aggiornato 17:00
Dipartimento Ugl opportunità e diritti per tutti

8 marzo, Ugl: occupazione femminile fattore anticrisi

Indagine su lavoro e servizi. Più sostegno alla famiglia

«Occupazione femminile, fattore anticrisi». Questo lo slogan scelto per l’8 marzo dal Dipartimento Ugl opportunità e diritti per tutti. Il Dipartimento in occasione della Giornata internazionale della Donna ha promosso una serie di iniziative a livello territoriale per divulgare informazioni sulla condizione femminile e proporre strategie di intervento per aumentare l’occupazione.
«La chiave di volta è la famiglia – spiega Ornella Petillo responsabile del Dipartimento - l’Ugl da sempre sostiene la necessità di sostenere la famiglia, a partire da un punto di vista fiscale attraverso il quoziente familiare, fino ad arrivare ai servizi, se si vuole dare un contributo concreto alle donne ai fini di una maggiore occupazione e di una reale attuazione delle pari opportunità».

Come rileva una indagine del Centro studi Iper Ugl, la maggiore o minore partecipazione delle donne al lavoro è strettamente connessa all’efficacia del sistema produttivo e alla disponibilità di efficienti servizi di welfare, dagli asili nido, all’assistenza agli anziani, al trasporto pubblico.
L’Europa, ad esempio, richiede un tasso di ricettività nei nido del 33%. La media italiana è sotto il 10%, ma con forti differenze tra i territori. Il dato disaggregato per aree geografiche dice che al Nord la ricettività negli asili è del 15,6%, i posti letto in RSA per mille residenti pari a 38%, e il tasso di occupazione femminile del 56,8%; al Centro la ricettività negli asili è dell’11,8% e 21 i posti letto in RSA per mille residenti, con un’occupazione pari al 51,8%; infine nel Mezzogiorno la ricettività negli asili crolla al 2,9% e i posti letto per l’assistenza agli anziani a 16 e il tasso di occupazione scende al 31,1%. A dimostrazione di come, dove ci sono più servizi ci sono anche più donne che lavorano.

Altro fattore di debolezza per le donne, i salari. Negli Stati Uniti la differenza salariale tra lavoratrici e lavoratori si attesta attorno al 22-24 per cento. In Europa si ferma al 15 per cento. In Italia il divario arriva al 23 per cento e persino al 40 per cento se si esaminano le posizioni di potere. Le donne partono da stipendi più bassi già all’ingresso nel mercato del lavoro, subito dopo la laurea. A un anno dalla laurea gli uomini guadagnano il 27,4 per cento in più rispetto alle donne, dopo tre anni la differenza sale al 31 per cento. Anche guardando alle professioni, le lavoratrici dipendenti guadagnano mediamente il 16 per cento in meno, e il divario salariale si accentua ad esempio nella qualifica di operaio specializzato (- 20 per cento) che in quella di dirigente (-3,3 per cento).

Altro dato interessante è il reddito familiare: se il percettore principale è uomo il reddito medio in Italia è di 30.571 euro; se è donna, il reddito scende a 22.363. La distanza maggiore riguarda il Nord dove la differenza è del 30,3 per cento in meno se il ‘capofamiglia’ è donna, al Centro è del 25,3 per cento in meno e nel Sud del 22,1 per cento in meno. Le famiglie con a capo una donna, dunque, sono mediamente più povere di quelle guidate da un uomo.

E la disparità salariale incide anche sull’entità della pensione, largamente inferiore per le donne che in media percepiscono una pensione pari al 57,6 per cento di quella degli uomini. E non solo e non tanto per l’eventuale uscita anticipata dal lavoro, quanto per effetto del sistema contributivo in cui gioca a loro sfavore il minor tempo che possono dedicare al lavoro, escludendole anche dall’accesso ai meccanismi premiali e dagli straordinari.