Nuova legge sul lavoro, Cisl: «Bene, ma serve anche la flexicurity»
«Nei fatti però i contenuti della nuova legge risultano in parte superati dalla evoluzione del mercato del lavoro veneto»
La legge sull'occupazione ed il mercato del lavoro (in applicazione della Legge 30) approvata ieri dal Consiglio Regionale del Veneto rappresenta un punto di approdo di una lunghissima discussione avviatasi oltre un anno e mezzo fa.
Indubbiamente, visto il comune sforzo finale da parte di tutte le rappresentanze politiche presenti nel Consiglio Regionale, essa rappresenta un patrimonio positivo della politica veneta.
Nei fatti però i contenuti della nuova legge risultano in parte superati dalla evoluzione del mercato del lavoro veneto, dalle incombenze dettate dalla crisi e soprattutto non colgono fino in fondo l'opportunità di fare del Veneto la prima area d'Italia in cui si sperimenta la flessicurezza.
Il sistema della flexicurity (sicurezza flessibile) rappresenta la forma più moderna del welfare nel lavoro, già applicata nei paesi europei più evoluti, e in grado di offrire protezioni sociali nel reddito adeguate e generalizzate, occasioni continue di riqualificazione professionale per i lavoratori e servizi di indirizzamento ed accompagnamento al lavoro. Questi tre elementi costituiscono la tutela completa delle singole persone nel mercato del lavoro.
«Il Veneto- sostiene Franca Porto, segretaria della Cisl veneta - ha tutte le caratteristiche e le potenzialità per praticare da subito la flessicurezza che, oltretutto, sarebbe un modo concreto per fare federalismo nei fatti. Non vogliamo togliere nulla al lavoro svolto dal Consiglio Regionale ma, se lo spirito di collaborazione e concertazione è solido, nulla ci impedisce di aggiornare la legge in tempi rapidi con emendamenti discussi e concertati anche con le Parti Sociali.
Per il mondo del lavoro veneto - prosegue Porto - si tratta di cogliere la grande occasione che abbiamo davanti e stabilire regole utili ed efficaci anche per il prossimo futuro, quindi per i giovani che entrano nel mercato del lavoro come pure per le persone che appartengono alle cosiddette «fasce deboli», cioè più a rischio disoccupazione o sottoccupazione come è il caso delle donne e dei lavoratori più anziani».
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