Mobilità, la valutazione dei contenuti della comunicazione preventiva
Deve essere correlata ai motivi della riduzione di personale
Con sentenza del 12 gennaio 2009, n. 401 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha stabilito che in materia di mobilità ed in particolare in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l'imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell'azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura, che, nell'ambito delle misure idonee ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione.
Così è stato respinto dalla Cassazione il ricorso di una dipendente delle Poste che sosteneva l’illegittimità del licenziamento perché l’informazione data dal datore con la comunicazione di avvio della mobilità inviata alle organizzazioni sindacali era incompleta.
Fatto e diritto
Una dipendente delle Poste aveva impugnato l’illegittimità del licenziamento collettivo, tramite la mobilità - perché l’informazione data dal datore di lavoro con la comunicazione di avvio della mobilità inviata alle organizzazioni sindacali era incompleta.
L'azienda Poste aveva avviato la procedura di mobilità motivandola con l'esigenza di ridurre i costi mediante l'attuazione di una riduzione complessiva di personale; aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalità impiegate e l'intero territorio nazionale, facendo altresì presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione, posseduto da molti dipendenti.
Si preannunciava altresì, dopo i licenziamenti, una riorganizzazione del lavoro soprattutto mediante mobilità geografica del personale.
La comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava, quindi, il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica.
La dipendente stessa si era rivolta al giudice unico del lavoro di Milano che, nel riconoscere la regolarità ex l. n. 223 del 1991 della procedura di riduzione del personale effettuata da Poste Italiane s.p.a, aveva rigettato la domanda della ricorrente.
La dipendente aveva lamentato che la sentenza impugnata non aveva considerato le eccedenze del personale sul piano regionale e provinciale, e che l'avere la società fatto ricorso (dopo la riduzione del personale) a contratti a termine o a contratti di apprendistato non rendeva illegittimo il licenziamento della lavoratrice.
Anche la Corte di Appello è stata dello stesso avviso in quanto ha ritenuto che la comunicazione inviata alle organizzazioni sindacali da parte delle Poste rispondeva alle prescrizioni di cui all'art. 4. comma 3, della legge n. 223 del 1991 perché anche se non erano stati precisati tutti i profili professionali all'interno di una stessa area, la contrattazione collettiva aveva raggruppato le qualifiche in aree funzionali (pur individuando all'interno le posizioni di lavoro particolari nei vari filoni) nell'ambito delle quali le varie posizioni di lavoro nei vari settori avevano una equivalenza tale da determinare anche una interscambiabilità del personale.
La decisione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione il ricorso della dipendente è stato giudicato infondato e, pertanto, è stato rigettato.
Per la Cassazione il licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell'operazione imprenditoriale di «riduzione o trasformazione di attività o di lavoro» (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l'altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorché plurimi, qualora non siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell'art. 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un'impresa che ha ottenuto l'intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell'art. 4, comma 1).
Per la Cassazione la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. n. 223 del 1991 non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell'attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l'organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell'azienda.
Ricorda anche la Cassazione che la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto è vero che la riduzione di personale «ingiustificata» non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento).
Per la Cassazione la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell'art. 41, commi secondo e terzo, Cost., che l'imprenditore sia obbligato allo svolgimento della procedura di cui all'art. 4, che realizza così lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l'operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l'organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal «nesso di causalità», ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (art. 5, comma 1, primo periodo);
Dunque il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l'inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall'accordo sindacale (annullamento del licenziamento).
Per la Cassazione l'azienda Poste aveva avviato la procedura di mobilità motivandola con l'esigenza di ridurre i costi mediante l'attuazione di una riduzione complessiva di personale; aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalità impiegate e l'intero territorio nazionale, facendo altresì presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione, posseduto da molti dipendenti.
Dunque la comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica.
Ciò non comportava, di certo, una insufficienza del contenuto della comunicazione preventiva e quindi non sarebbe stata coerente l'indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la «collocazione» dei dipendenti da licenziare con l'intero complesso aziendale; né avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.
Per tali ragioni, dunque, il ricorso è stato rigettato.
Allegato
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 12 gennaio 2009, n. 401
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