Licenziamento per giusta causa per lesione dell'immagine dell'azienda in assemblea
Legittimo se lesiva del decoro dell’impresa datoriale
Con sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29008 la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha chiarito il dipendente deve sempre rispettare l’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro anche durante pubbliche assemblee. Se lo stesso, esercitando il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, dovesse superare i limiti del rispetto della verità oggettiva e ledere comunque con la sua condotta il decoro dell’azienda in modo tale da provocarne la caduta della sua immagine ed un conseguente danno economico, tale comportamento è suscettibile di ledere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro stesso.
Così la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello che aveva considerato legittimo il licenziamento inflitto dal Consorzio al suo dipendente.
Fatto e diritto
Il datore di lavoro di un Consorzio svolgente servizio di smaltimento rifiuti, ritenendo intollerabili le frasi che sarebbero state pronunciate dal dipendente in alcune assemblee, aveva proceduto al licenziamento dello stesso perché gravemente lesive dell'immagine e del prestigio del Consorzio stesso, anche per la «vasta eco avutasi sulla stampa locale».
Allora il dipendente si era rivolto al Tribunale che poi aveva accolto in parte il ricorso proposto del dipendente, dichiarando illegittime le sanzioni disciplinari inflittegli dal datore di lavoro ed illegittimo il licenziamento con condanna del convenuto alla riassunzione ed alla rifusione del danno.
La società ricorreva allora in appello contestando solo la parte della sentenza relativa al licenziamento.
Anche il dipendente però resisteva all'appello e proponeva altresì appello incidentale volto ad ottenere una diversa e più ampia quantificazione dell'indennità risarcitoria.
La Corte d'Appello, ritenuto che risultava provato quanto esposto nella lettera di contestazione che aveva preceduto il licenziamento e, cioè, affermazioni del dipendente, in occasione di tre assemblee pubbliche, gravemente lesive dell'immagine e del prestigio dell'azienda datrice di lavoro (mancato invio del materiale derivante dalla raccolta differenziata al recupero, al riciclaggio e allo smaltimento differenziato, ma destinato all'incenerimento), in accoglimento dell'impugnazione, rigettava le domande, avanzate dal lavoratore relative al licenziamento.
Contro tale sentenza il dipendente allora è ricorso in cassazione .sentenza il dipendente allora è ricorso in Cassazione .
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha chiarito che il licenziamento per giusta causa, essendo la più grave delle sanzioni disciplinari, può considerarsi legittimo solo se sia proporzionato al fatto addebitato al lavoratore; pertanto, per stabilire l'esistenza della giusta causa di licenziamento occorre accertare se la specifica mancanza commessa dal dipendente, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e sia tale da esigere una sanzione non minore di quella espulsiva.
La valutazione relativa alla sussistenza della giusta causa deve essere condotta non già in astratto, ma con riferimento al caso concreto ed agli aspetti concreti di esso, ossia alla portata del fatto, alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed all'intensità dell'elemento volitivo
La valutazione della gravità della infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa dì licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
La Corte di Cassazione a proposito della congrua motivazione, ha ricordato che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c.), non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere - secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte
dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.
Per la Cassazione la Corte di Appello aveva spiegato, con dovizia di argomentazioni, le ragioni che hanno condotto al licenziamento del dipendente secondo cui la forma della critica non è civile non soltanto quando è eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire o difetta, di serenità o obiettività o, comunque, calpesta quel minimo di dignità e di immagine cui ogni persona fisica o giuridica ha sempre diritto, ma anche quando non è improntata a leale chiarezza.
Per la Cassazione il lavoratore, pertanto, avrebbe dovuto astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa stessa o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso.
Ne consegue che è suscettibile di violare il disposto dell'art. 2105 c.c. e di vulnerare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore un esercizio da parte di quest'ultimo del diritto di critica che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, si sia tradotto - come è avvenuto nel caso di specie - in una condotta lesiva del decoro della impresa datoriale, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro. Una siffatta lesione del carattere fiduciario del rapporto lavorativo va accertata dal giudice di merito con giudizio sindacabile in sede di legittimità unicamente per vizi di motivazione.
Così la Cassazione ha confermato un verdetto d’appello che aveva considerato legittimo il licenziamento inflitto dal Consorzio al suo dipendente.
Allegato
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 10 dicembre 2008, n. 29008
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