28 agosto 2025
Aggiornato 09:00
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29000

Possibilità per il datore di lavoro di poter cambiare il lavoro subordinato in lavoro autonomo nel corso del rapporto

Rilevante è lo svolgimento della prestazione

Con sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29000 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha esaminato come sia possibile per il datore di lavoro poter trasformare il lavoro subordinato in lavoro autonomo e tale cambiamento di veste del rapporto di lavoro sarebbe possibile solo a condizione che venga meno il vincolo di dipendenza e si realizzi di pari passo ad un concreto mutamento delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa
In altre parole tale trasformazione può essere effettuata alle citati condizioni - senza alcun problema - anche se il contenuto della prestazione lavorativa resta lo stesso, ma deve venire meno il vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro.

Fatto e diritto
Una dipendente aveva chiamato in giudizio avanti al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro il proprietario del supermercato ove prestava la sua opera con mansioni mai variate nel corso dell'intero rapporto, di commessa addetta al reparto ortofrutta e sistemazione dei banchi per un periodo di cieca un anno e mezzo.
Tale rapporto, in base al libretto di lavoro, risultava essere stato svolto solo per una metà circa del periodo mentre, per i restanti periodi, era stata remunerata per prestazioni occasionali di facchinaggio e volantinaggio e per 4 mesi come collaboratrice continuativa e coordinata.
La stessa è stata licenziata poi dal citato rapporto di collaborazione e tale provvedimento era stato dalla stessa impugnato perché aveva lamentato che il rapporto era stato unitario, con identità di mansioni, ed aveva avuto natura di lavoro subordinato, anche quando era stato diversamente qualificato dall'impresa.
Quindi chiedeva l’accertamento del suddetto carattere unitario del rapporto e che venisse dichiarata la nullità del licenziamento, privo di giusta causa o giustificato motivo, con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni.
Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della convenuta, il Giudice adito, ritenuto in particolare che la dedotta continuità del rapporto di lavoro aveva trovato riscontro soltanto nella testimonianza del marito della ricorrente, la cui attendibilità, in difetto di altri riscontri probatori, non poteva ritenersi sufficiente, respinse la domanda.
La Corte d'Appello accoglieva invece il gravame proposto dalla dipendente e dichiarava illegittimo, annullandolo, il licenziamento impugnato, ordinando anche la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e condannò la società al risarcimento del danno in misura corrispondente alla retribuzione globale di fatto spettante dal dì del licenziamento sino alla reintegra, oltre accessori di legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Per la Corte di Appello la lavoratrice aveva dato piena prova del carattere sostanzialmente unitario del rapporto di lavoro per la sua intera durata - contro le diverse forme che aveva avuto in quanto peraltro era risultato provato che la lavoratrice aveva prestato con continuità attività lavorativa avente natura subordinata, stante il suo inserimento nell'organizzazione aziendale con l'assegnazione di mansioni circoscritte e non implicanti alcuna autonomia decisionale o anche solo operativa, per un periodo ben più lungo di quello risultante dal libretto di lavoro e dai due contratti a tempo determinato prodotti dalla parte datoriale senza che fosse dato cogliere differenza alcuna fra i diversi periodi di lavoro quanto alle mansioni svolte.
Contro la suddetta sentenza della Corte di Appello la società ha presentato ricorso in Cassazione.

La decisione della corte di Cassazione
Per la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione il cambiamento di veste del rapporto di lavoro è legittimo solo a condizione che venga meno il vincolo di dipendenza e si realizzi di pari passo ad un concreto mutamento delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e dunque tale trasformazione può essere effettuata anche se il contenuto della prestazione lavorativa resta lo stesso, ma deve venire meno il vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro.
Per la Cassazione la ritenuta prosecuzione del rapporto lavorativo (subordinato) anche al di là dei termini fittiziamente apposti nel corso del suo svolgimento, secondo quanto accertato in punto di fatto dalla Corte d’Appello, comporta che il rapporto stesso, nella sua unitarietà, deve essere considerato come a tempo indeterminato; ne consegue che l'avvenuta stipulazione, nel corso del già costituitosi rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di un fittizio contratto di collaborazione coordinata e continuativa non può essere considerata idonea a determinare la diversa qualificazione del rapporto stesso (in termini, appunto, di lavoro autonomo), cosicché alla formale comunicazione di risoluzione (per spirare del termine) del contratto di collaborazione fittiziamente stipulato non possono essere applicati i principi (richiamati dalla parte ricorrente) elaborati da questa Corte in tema di disdetta comunicata per scadenza del termine illegittimamente apposto ad un contatto di lavoro subordinato.
Pertanto la comunicazione datoriale, siccome unilateralmente produttiva della cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato effettivamente costituito, va qualificata, come ritenuto dalla Corte di Appello, come licenziamento, nella specie illegittimo siccome non determinato da giusta causa o giustificato motivo.
Dunque per la Cassazione, sulla base delle predette considerazioni, il ricorso è stato, pertanto, rigettato.

Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29000