19 aprile 2024
Aggiornato 23:00
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 24 novembre 2008, n. 27877

Licenziamento dei “falsi” invalidi, in qualunque momento del loro rapporto di lavoro

Censurato il disonesto comportamento di coloro che producendo una falsa documentazione medica, si fanno assumere nella P.A.

Con sentenza del 24 novembre 2008, n. 27877 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha chiarito che i c.d. «falsi invalidi» possono essere licenziati sempre ovvero in qualsiasi momento del loro rapporto di lavoro.
Per la Corte di Cassazione il datore di lavoro ha la facoltà anche dopo diversi anni dall'assunzione di verificare le condizioni di salute dei propri dipendenti portatori di handicap e metterli alla porta se emerge che si tratta di falsi invalidi.

Fatto e diritto
Una falsa ipovedente. era riuscito a farsi assumere nella P.A dichiarando una invalidità e producendo a fronte della stessa che gli avrebbe consentito l’assunzione nell’ambito delle categorie protette « del collocamento obbligatorio, una falsa documentazione medica.
La Corte d’appello, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, dichiarava l’illegittimità del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra lo stesso e la P.A. e ne ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro, con condanna al risarcimento del danno in quanto aveva rilevato che la stessa era stata assunta quale invalida civile ai sensi della l. 2 aprile 1968 n. 482, sulla base di un accertamento della Commissione invalidi civili accertativo di miopia bilaterale e scoliosi dorso lombare.
Il Ministero con apposito decreto ne aveva dichiarato la decadenza dall’impiego per produzione originaria di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile.
Adita l’autorità giudiziaria con ricorso, il Tribunale aveva accertato un’infermità inferiore al minimo richiesto dalla L. n. 482 del 1968, e tuttavia la Corte d’appello riteneva illegittimo il provvedimento di risoluzione del rapporto a causa essenzialmente del comportamento della pubblica amministrazione-datrice di lavoro, contrario a buona fede.
Infatti questa aveva lasciato trascorrere circa tredici anni prima di verificare le condizioni di salute della lavoratrice ed aveva risolto il rapporto senza che quella avesse potuto esaurire i rimedi amministrativi o avesse inosservato l’onere di produrre i prescritti documenti; per di più gli accertamenti officiosi erano stati compiuti da una commissione costituita presso l’azienda sanitaria locale e non dalla competente commissione del Ministero del tesoro.
La Corte d’appello riteneva altresì inattendibile la consulenza tecnica medica compiuta nel primo grado del giudizio, contrastata da una consulenza oculistica esperita dall’Azienda universitaria Policlinico.
Contro questa sentenza la P.A. è ricorsa in Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione il rapporto di lavoro con imprese private o con enti pubblici viene costituito in modo obbligatorio sulla base non soltanto di invalidità fisiche o di altre situazioni di svantaggio sociale ma anche di una valutazione comparata nell’ambito di una pluralità di aspiranti (capo I, titolo III, l. n. 482 del 1968). Ciò comporta che nella controversia giudiziaria l’accertamento del diritto dev’essere compiuto con riferimento al tempo della contestata costituzione del rapporto, senza che abbia rilievo la sopravvenienza di alcuno dei requisiti nel corso del processo.
Nel caso di specie la consulenza tecnica medica di primo grado aveva accertato la mancanza del requisito sanitario minimo al tempo della costituzione del rapporto di lavoro ed il giudice d’appello l’ha disattesa sulla base di una non meglio precisata «relazione di consulenza oculistica dell’Azienda universitaria Policlinico con la quale si sottolinea un deficit della motilità oculare ed esiti di cheratite che impediscono la piena correzione del difetto visivo sia con lenti tradizionali sia con lenti corneali».
Secondo la Corte di Cassazione la Corte di Appello non aveva detto quale origine avesse avuto questa relazione, di parte o d’ufficio, ma, quel che più conta, essa non distingue fra grado di un’insufficienza visiva (grado già accertato insufficiente per la nascita del diritto in questione) e possibilità di correggerla, ossia di diminuirne la gravità.
E dunque la Corte di Cassazione ha bocciato la decisione della Corte di Appello affermando in sostanza che la falsa ipovedente aveva alterato la gravità della sua miopia e per questo era stata licenziata.

Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 24 novembre 2008, n. 27877