29 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 29 settembre 2008, n. 24293

Dequalificazione per trasferimento da impiegata ad addetta al «call center»

Proprio perché la precedente mansione offriva maggiori occasioni di crescita professionale

Con sentenza del 29 settembre 2008, n. 24293 la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha disposto che il trasferimento di una impiegata dalla sua mansione a quella di addetta di «call center « configura una dequalificazione professionale.
Per la Cassazione vale il principio che le mansioni di destinazione, nel caso specifico addetta di «call center«, devono consentire «l’utilizzazione ovvero il perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni, perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto».
Dunque in base a quanto sopraesposto per la Cassazione, anche a parità di CCNL, i dipendenti non possono essere trasferiti nei call center se prima svolgevano mansioni con maggiori occasioni di crescita professionale.

Fatto e diritto
Una dipendente Telecom con mansioni di impiegata amministrativa era stata trasferita al «call center» come centralinista del 187.
Allora la dipendente si era rivolta al Tribunale che le aveva respinto una serie di domande dalla stessa proposte per ottenere l'accertamento dell'illegittimità della intervenuta modifica in pejus delle sue mansioni, il suo diritto ad essere reintegrata nelle mansioni precedenti, la condanna della società predetta a risarcirle il danno alla professionalità e all'immagine professionale subito, la condanna della stessa a risarcirle il danno biologico provocato dall'illegittimo trasferimento ed applicazione al servizio 187, il danno morale e quello esistenziale, oltre al pagamento di alcuni elementi retributivi e l'accertamento del suo diritto ad una qualifica superiore, con le connesse differenze retributive.
L’azienda si era giustificata affermando che in alternativa al licenziamento l’unica possibilità per mantenerla in servizio era quella della dequalificazione.
Allora la dipendente aveva fatto ricorso al Tribunale che invece le aveva respinto la domanda di reintegrazione nelle mansioni precedenti e negato anche il risarcimento del danno esistenziale, biologico e morale.
La Corte d’Appello invece ha riformato la sentenza di primo grado, dichiarando l'illegittimità del comportamento denunciato e il diritto della dipendente nei confronti della società (Telecom) ad essere reintegrata nelle mansioni precedentemente svolte ovvero in altre ad esse equivalenti e ha disposto con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio in ordine agli ulteriori motivi di appello.

La decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione la Corte d’Appello ha adeguatamente valutato le mansioni di provenienza come più ricche di quelle di destinazione, anche perché svolte in collegamento e in collaborazione con altri uffici della società e connotate da non indifferenti occasioni di crescita professionale mentre quelle di destinazione sono state ritenute elementari, estranee alle esperienze professionali pregresse, aventi «in sé un maggior rischio di fossilizzazione delle capacità della dipendente...».
Dunque la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato la Telecom Italia s.p.a. a rimborsare le varie spese giudiziali in quanto per la stessa vale il principio che le mansioni di destinazione, nel caso specifico addetta di «call center«, devono consentire «l’utilizzazione ovvero il perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni, perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto».
Dunque in base a quanto sopraesposto per la Cassazione, anche a parità di CCNL, i dipendenti non possono essere trasferiti nei call center se prima svolgevano mansioni con maggiori occasioni di crescita professionale.

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