Il bello del festival non sta nei fuochi d'artificio
Chiuso con un confronto sul futuro dei festival il festival sul futuro dell’economia
Nel paese dei Festival (in Italia ne sono stati contati almeno 1.300, di varia natura anche se spesso – come ha detto Paolo Polettini del Festival Letteratura Mantova – «molte sagre di paese hanno cambiato nome») è proprio sul «Bello dei Festival» che si è concluso, a Prato, l’ultimo fra i Festival arrivati: quello che per quattro giorni, su iniziativa di Regione Toscana, ha ragionato sull’economia o, meglio, su «Economia al cubo» con incontri, mostre, laboratori e spettacoli sul futuro dell’economia.
Moderato da Peppino Ortoleva, dell’Università di Torino, l’appuntamento pratese si è concluso questa mattina con un incontro su passato, presente e futuro dei maggiori festival culturali italiani: oltre a Polettini sono intervenuti Roberto Franchini (Festival Filosofia di Modena), Daniele Lauria (Festival Creatività di Firenze), Roberto Paci Dalò (Giardini Pensili di Rimini) e Guido Guerzoni docente di Economia dei Beni Culturali alla Bocconi di Milano («Ogni anno, in Italia, fra risorse pubbliche e risorse private sono circa 7 i miliardi di euro destinati ad attività culturali. Non sono poi così pochi. E’ che si spendono male»).
In Italia ci sono troppi festival culturali, anche riferendosi solo a quelle poche decine che appaiono davvero strutturati ? E’ solo una moda? Quanto pesa, nella loro nascita, la volontà di autopromozione del ceto politico locale? In che misura il successo dei festival è decretato dagli investimenti promozionali? Quanto pesano le pagine culturali dei grandi media nel decretare il successo o l’insuccesso di una manifestazione? Perché i festival più significativi si svolgono in città medio-piccole? Perché così pochi al Sud? Quali le ricadute su turismo ed economie locali? Che accade, nei luoghi dei festival, nella restante parte dell’anno? Siamo davanti a cattedrali nel deserto?
Queste le domande dell’incontro che si soprattutto sviluppato sul rapporto fra dimensione «spettacolare» e dimensione «strutturale» della cultura, oggi, in Italia: spesso i festival – è stato detto – svolgono una funzione di supplenza rispetto alle istituzioni culturali così come non mancano gli esempi di «forti sollecitazioni», da parte dei festival, alle più tradizionali istituzioni culturali chiamate comunque a fare i conti con le risorse economiche e con la necessità di ripensare sé stesse.
Ma pure ai festival è chiesto «un sostanziale ripensamento»: sopravvivranno solo quelli che hanno qualcosa da dire, quelli capaci di coinvolgere la comunità, quelli che hanno capito come non bastano solo tre o quattro giorni di «fuochi d’artificio», quelli in grado di legare la dimensione dell’evento con quella di strutture permanenti e capaci di produrre in modo non effimero, quelli che sapranno puntare sulla qualità delle iniziative e sulla educazione del pubblico.
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