28 agosto 2025
Aggiornato 01:30
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 5 settembre 2008, n 22536

Carcerazione preventiva del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro

Non può essere considerata come inadempimento contrattuale

Con sentenza del 5 settembre 2008, n 22536 la Sezione lavoro della Corte di Cassazione chiarito che l'arresto del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro non legittima per questo il recesso del datore di lavoro e se la misura cautelare della carcerazione preventiva è dovuta a fatti che non attengono al rapporto di lavoro, la carcerazione preventiva cui è sottoposto il lavoratore non può essere considerata come inadempimento contrattuale, ma deve essere considerata come oggettiva impossibilità temporanea della prestazione.

Però per giustificarsi un eventuale recesso del datore di lavoro, che può essere intimato per giustificato motivo soggettivo, bisogna verificare se il datore continui ad avere un apprezzabile interesse a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente detenuto.

Fatto e diritto
Con ricorso al Tribunale un dipendente impugnava il licenziamento intimatogli dalla società ove lavorava con mansioni di operaio di quinto livello presso un impianto di depurazione.
La società gli aveva contestato l'assenza ingiustificata dal lavoro reputandola di particolare gravità in relazione all'attività espletata; a seguito dello stato di detenzione in cui versava il dipendente stesso.
Il dipendente aveva chiesto al giudice la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno.
La società si costituiva e contestava la fondatezza del ricorso.
Il Tribunale rigettava la domanda, affermando che il comportamento del lavoratore aveva integrato violazione dell'obbligo contrattuale di comunicare tempestivamente al datore di lavoro il motivo della propria assenza, non costituendo lo stato di detenzione fattore ostativo all'adempimento di tale obbligo.
L'appello del lavoratore però veniva accolto dalla Corte di Appello che aveva fatto presente che il recesso era stato intimato per un giustificato motivo soggettivo, ravvisato nelle prolungate ed ingiustificate assenze, che avrebbero determinato un notevole disagio nella ripartizione dei turni e nell'assegnazione dei compiti tra le maestranze, pregiudicando il regolare andamento dei turni lavorativi.
Mentre il Tribunale aveva sostenuto che la carcerazione preventiva del lavoratore per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro non costituisce inadempimento di obblighi contrattuali ma integra l'oggettiva sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione i giudici della Corte d’Appello riscontavano una incoerenza nella affermazione dell’aziebda di una responsabilità del lavoratore per violazione dei principi generali di correttezza e buona fede, nonché di disposizioni contrattuali che prevedono l'applicazione di sanzioni conservative in caso di mancata comunicazione dei motivi di assenza entro il giorno successivo all'inizio della stessa.
La Corte d’Appello quindi condannava l’Azienda a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno provocato dal licenziamento, con esclusione del periodo di detenzione.
La società ricorreva allora in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha criticato la sentenza della corte d’Appello perché i giudici di appello avrebbero considerato esclusivamente l'aspetto soggettivo della vicenda, non tenendo conto dell'evidente aspetto oggettivo: il licenziamento era stato irrogato in considerazione della intollerabilità dell'assenza del lavoratore in relazione all'organizzazione aziendale e alle esigenze di salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica, proprie del rapporto contrattuale intercorrente con la gestione dell'impianto.
La Corte di Cassazione ha chiarito che la carcerazione preventiva del lavoratore per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro integra un fatto oggettivo determinante una sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, da valutarsi, ai fini della irrogazione di un licenziamento, con riferimento alla persistenza o meno, nel datore di lavoro, di un apprezzabile interesse a ricevere le ulteriori prestazioni del lavoratore detenuto.
Ed ha poi rilevato, con giudizio ex ante, che le circostanze dedotte con i capitoli di prova, anche se dimostrate, non erano indicative di una situazione di effettivo disagio arrecato agli assetti organizzativi aziendali dalla assenza del lavoratore e di seria compromissione del regolare espletamento della attività, pur introducendo un fattore modificativo delle turnazioni predisposte e di redistribuzione delle prestazioni nell'ambito di esso.
Si tratta di un apprezzamento di fatto congruamente motivato, che ha tenuto conto delle dimensioni dell'azienda (che occupava, solo fra i turnisti, 39 dipendenti), delle mansioni del lavoratore detenuto, del limitato periodo di assenza fino alla comunicazione del recesso.
Per la Cassazione, che ha rigettato il ricorso della società, non è risultato che l'azienda avesse motivato il recesso anche con riferimento alla incertezza sulla durata della detenzione; per cui l'omesso esame di tale aspetto da parte dei giudici di appello non inficia la loro valutazione.

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