18 aprile 2024
Aggiornato 13:00
Via Italia e dintorni

«Vecchio ospedale, ultima occasione per il riscatto del centro»

Intervista a Franco Fortunato: Architetto, residente ed ex cestista: «Tanti errori, un centro polifunzionale per rimediare. La città e il suo centro hanno subito scelte, a mio parere, sbagliate, vere ferite»

BIELLA - Architetto, urbanista, intellettuale ed ex capitano del Bbc, società da cui nacque la Pallacanestro Biella nei primi anni Novanta del secolo scorso. Lui era un playmaker che usava molto la testa, oltre che le mani, per tirare ottimamente da tre punti e passare meravigliosamente la palla. Le scarpe le ha ovviamente appese al chiodo, da tempo. La matita, invece, continua ad usarla. Matita con cui cinque anni fa, assieme ad Angelo Ricceri e altri soci, ha disegnato «La Linea». Un luogo, più che uno studio professionale. Perché all'interno dello spazio creato a sua immagine e somiglianza, nel tempo, hanno preso forma diversi progetti artistici e culturali: mostre fotografiche, spettacoli teatrali, laboratori didattici per bambini, esposizioni di pittura, balletti e altro ancora. Il tutto in un solo lustro di vita. Uno degli aspetti più interessanti, e per lui piacevoli, del suo lavoro, è spaziare dalla pianificazione territioriale alla progettazione architettonica, dagli allestimenti di spazi espositivi al disegno di oggetti e alla grafica. Il piacere di analizzare, di costruire, di disegnare. Franco Fortunato, classe 1962, ha un timbro di voce suadente, un eloquio ragionato, uno sguardo vivo. Il fisico è asciutto come ai tempi in cui giocava, i capelli sono un po' lunghi, da poeta francese. Nell'open space lavorano architetti, designer, grafici e pubblicitari. Fortunato è un perfetto padrone di casa. Fuma.

La crisi ci ha costretti a cambiare
L'ex cestista oltre a lavorare in via Italia, ci vive. Il suo sguardo sul centro storico è quindi professionale e personale allo stesso tempo. «Negli ultimi vent'anni il modo di vivere la città è cambiato - sostiene -. E sono cambiati anche i biellesi. In meglio. Questa mutazione è purtroppo avvenuta per via della crisi economica e industriale che tutti vediamo e di cui molti soffrono. La fine di un'epoca, forse d'oro, per certi aspetti legata alla quasi piena occupazione della popolazione, ha però messo in moto delle risorse che hanno portato ad una vitalità una volta sconosciuta. Siamo stati per anni una città dove si lavorava e si produceva molto, con poca attenzione per la cultura, nella sua accezione più ampia. Oggi la differenza rispetto al passato è evidente. C'è fermento, anche se con inevitabili alti e bassi nel corso dell'anno. La voglia di socialità è mutata. Le persone escono di più, ci sono più locali aperti. Per quanto frammentate, le iniziative sono molte e spesso di qualità».

Il passato... un'eredità ingombrate
La visione generale di Franco Fortunato non è però del tutto positiva, soprattutto sul piano urbanistico. «La città e il suo centro hanno subito scelte, a mio parere, sbagliate, vere ferite. I danni fatti sono stati per certi versi irreversibili - dice -. I riferimenti, locali, dei disastri più eclatanti, sono noti: lo spostamento del mercato ambulante da piazza Martiri a piazza Falcone, la nascita degli 'Orsi', la creazione del nuovo ospedale in periferia. E ancora: la storica mancanza di una vera piazza, che non si è mai voluta realizzare. Andando più indietro nel tempo penso anche al Centro commerciale di via Lamarmora. E se vogliamo proprio esagerare, all'intero Quartiere degli affari. Questi ultimi due giganti di cemento sono state immense operazioni edilizie che hanno invaso il centro città. Volendo dare una lettura politica, direi di vera e propria affermazione di potere da parte del ceto dominante. Che di fatto ha sventrato la città creando il Quartiere degli affari negli anni Cinquanta e poi imposto cinque torri gigantesche negli anni Novanta solo per creare spazi residenziali o studi professionali di prestigio. Non mi pare che il panorama complessivo, però, ci abbia guadagnato. Se a ciò si aggiunge la crisi demografica ed economica del territorio, difficile nutrire molte speranze. A meno di non  affidarsi al turismo, che peraltro porta ogni territorio ad impelagarsi in una guerra di tutti contro tutti per attrarre turisti, in cui pochi possono davvero sperare di spuntarla. C’è da ammettere però che proprio in questo momento di forte crisi qualcosa sembra muoversi. Un diffuso interesse e una voglia di fare qualcosa sembra pervadere la società civile che si interroga e si muove per cercare nuove strade per la riqualificazione della città e la promozione del territorio e delle sue qualità».

Vecchio ospedale, ultima speranza
«Una grande occasione di rilancio del centro città passa dalla valorizzazione dell'ex ospedale - sostiene Fortunato, per anni impegnato anche fuori regione a progettare e lavorare per complessi piani regolatori -. Di idee interessanti se ne sono sentite molte. Il punto è avere le risorse per realizzarle e soprattutto la disponibilità del complesso di proprietà regionale. C'è stato un concorso di idee che ha visto premiato il progetto che vuole valorizzare l'identità tessile del territorio. Nulla da obiettare. Come? Quando? Del Cda di via Lamarmora si parlava già negli anni Sessanta. E' arrivato decenni dopo... Anche l'ipotesi di realizzare una Città del benessere può essere altrettanto valida. Ma siamo sempre allo stesso punto. Chi ci mette, diciamo, cento milioni di euro, oggi? A beneficio di chi, poi. Perché parliamo sempre di una città che ha perso 9 mila abitanti negli ultimi anni, che viaggia abbondantemente sotto i 50 mila residenti da tempo. Il rischio dell'ennesimo contenitore vuoto è molto forte. Così come alto è il pericolo di averne creato un altro, nuovo, con la biblioteca di piazza Curiel. Ci saranno i soldi per progetti di aggregazione culturale? C'è una classe di politici e di amministratori capace di renderla un polo di attrazione? Tornando al vecchio ospedale, vedrei bene una valorizzazione che passa attraverso un uso da parte di più soggetti. Creerei le condizioni per insediare residenze e servizi, spazi per enti e associazioni culturali, musicali, artistiche, sportive. Giovani. Anziani. Un pezzo di città. Lì dentro c'è posto per tutti. Anche per accogliere stranieri. Forse non è un'idea clamorosa ma almeno è fattibile. Democratica. Pasolini diceva che la 'democrazia non è partecipazione ma decentramento'. Creare le condizioni perchè le iniziative individuali e collettive possano prendere forma.. lasciare spazio. Non imporre scelte, mai. Un sociologo francese con cui ho avuto l'onore di lavorare su un piano di valorizzazione territoriale in Emilia Romagna, Marc Grodwohl, parlava del fondamentale rapporto tra la popolazione locale e la popolazione che frequenta un luogo, per lavoro, turismo o altro... L'ospedale dovrebbe, e potrebbe, diventare un'occasione d'incontro e di ulteriore crescita collettiva. Uno spazio attrattivo. Magari, per una volta, in un processo di aggregazione spontaneo non controllato dall'alto».